Mentre gli U.S.A. del Presidente Reagan annunciavano l’avvio del progetto “Star Wars” ovvero dello Strategic Defense Initiative (SDI) che si proponeva di usare sistemi d’arma dislocati sulla Terra e nello spazio per difendere gli Stati Uniti da eventuali attacchi con missili balistici armati di testate nucleari, l’URSS si preparava a lanciare il primo prototipo del veicolo Polyus, quella che si presume fosse una piattaforma di armi orbitale in grado anche di difendersi da attacchi ASAT (Anti-satellite weapons).
Siamo in piena Guerra Fredda, il timore (motivato) degli URSS era che il progetto “Star Wars” da un lato nascondesse la minaccia di attacchi dall’orbita e dall’altro interrompesse il cosidetto concetto di distruzione mutua assicurata che prevedeva che qualunque attacco nucleare di una delle due superpotenze sarebbe stato totalmente distruttivo per entrambe le parti in causa, impedendo di fatto a entrambe le fazioni di schiacciare il pulsante rosso per prima.
Il 15 maggio 1987, così, il razzo vettore Energia lascia il cosmodromo di Baikonur portando in orbita l’apparato sperimentale “Skif-DM” 17F19DM (“Скиф-ДМ” 17Ф19ДМ), meglio conosciuto col nome di “Polyus”.
La costruzione dell’astronave Polyus iniziò nel luglio 1985; l’idea era di realizzare un modello in scala 1:1 come carico utile per testare il primo volo del vettore Energia che avrebbe dovuto portare in orbita la navicella spaziale Buran, la risposta sovietica allo Space Shuttle americano. Quando, però, fu chiaro che il Buran non sarebbe stato pronto per il primo volo previsto nel 1986, il Ministro dell’Industria richiese di trasformare la Polyus in una navicella spaziale in grado, ufficialmente, di effettuare esperimenti di geofisica in orbita terrestre. La leggenda narra che sulla Polyus fosse in realtà montato un cannone laser al diossido di carbonio da 1-megawatt sviluppato per l’Il-76LL per la difesa contro le armi ASAT, un sistema di puntamento ottico per il cannone difensivo e un sensore di avvistamento radar in modo da intercettare eventuali missili senza generare segnali rintracciabili e che inoltre gli esperimenti da condurre in orbita fossero solo la copertura ad alcuni test per deviare eventuali attacchi con raggi di particelle e a collaudi di altri sistema di difesa e attacco orbitale.
Quello che è certo è che la Polyus, fu realizzata a tempo di record, impiegando poco più di un anno contro i cinque previsti da qualunque programma spaziale sovietico, e che per costruire la nave in così poco tempo furono combinati elementi di diversi progetti in corso. Il sistema di aggancio tra la Polyus ed il vettore Energia fu mutuato da quello progettato per lo Space Shuttle Buran, il modulo centrale fu costruito adattando una componente della Stazione Spaziale MIR, mentre il modulo di rientro per i cosmonauti fu adattato dal sistema di trasporto TKS .
Il lancio della Polyus fu tuttavia un clamoroso insuccesso. Il vettore Energia portò come previsto la navicella in orbita ma dopo lo sgancio, prima di avviare i razzi di inserimento orbitale, collocati nel muso, l’astronave doveva ruotare di 180 gradi. A causa di un sensore difettoso, però, la rotazione avvenne per 360 gradi e la Polyus fu spedita nuovamente sulla Terra a schiantarsi nell’Oceano Pacifico.
Nonostante la piattaforma orbitale non fu mai operativa il test della Polyus dimostrò la bontà del vettore Energia che portò l’anno successivo in orbita il Buran, inoltre varie parti della Polyus furono riutilizzate: l’ogiva per gli apparati di “Quantum-2”, “Crystal”, “Spectrum” e “Nature”, così come il modulo FGB (Aveva un FGB (l’acronimo russo di modulo cargo) che fu il primo elemento della Stazione Spaziale Internazionale ISS.
Non mi resta, dunque, che lasciarvi con alcune splendide immagini d’epoca e con un video del lancio.
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