Nel pieno di questa inutile campagna elettorale[1], ieri grande risalto ha avuto questa affermazione di Mario Monti
La bozza di riforma del mercato del lavoro a cui sta lavorando la lista Monti prevede anche una riforma del calendario scolastico in modo da limitare ad un mese le vacanze estive,’sulla base della partecipazione volontaria delle famiglie’. La misura ‘non vuole aggravare il lavoro degli insegnanti’ ma favorire i genitori lavoratori.
In sostanza Monti propone la possibilità di tenere le scuole aperte anche d’estate per sostenere le famiglie che non hanno altro modo di prendersi cura dei figli che non sia quello di affidarli a strutture private con i costi e i disagi che ciò comporta.
Come ovvio questa “esternazione” ha provocato la classica reazione scomposta dei sindacati degli insegnanti – lavorare d’estate, giammai – e dei sociologi della domenica – i bimbi hanno bisogno di riposarsi – eppure, a prescindere dalle giuste motivazioni di sostegno alla famiglia, sarebbe ora di ripensare al modello scuola che, ancora, nel 2013 si basa su processi formativi risalenti all’italia del 1800.
In questi giorni sto girando per le scuole elementari primarie per decidere quale scegliere e come organizzarmi il prossimo anno con Pierpaolo[2] che lascia l’oasi protetta della scuola materna privata. Devo ammettere che, con mia somma sorpresa, le attrezzature e le strutture che ho visitato sono tutt’altro che obsolete, ci sono palestre, laboratori, aule multimediali, tutto quello che serve per avviare un percorso didattico di tutto rispetto… in teoria.
Quando si va a scalfire la superficie glitterata, invece, si scopre che nulla è cambiato rispetto a trenta anni fa; a parte qualche ora alla settimana dedicata ad attività collaterali la scuola rimane lezioni di italiano, matematica, storia e geografia inculcate a forza di compiti a casa e intervallate da compiti in classe.
Niente approfondimenti, niente socializzazione se non sulle slide dei POR fatte col Powerpoint e ovviamente nessun sostegno alla famiglia, persino il “tempo pieno” termina alle 16.15 e inizia a novembre, quando le lezioni sono cominciate da due mesi. Eppure basterebbe così poco: le strutture ci sono, le attrezzature anche, cosa manca? In un paese come il nostro dove qualunque tipo di riforma attira i veti contrapposti di corporazioni, sindacati e comitati di quartiere, mutare qualunque tipo di equilibrio sedimentato nella tradizione di una nazione allo sfacelo è talmente oneroso che qualunque tipo di proposta è destinata a naufragare e così ci ritroviamo di fronte a personale, strutture e attrezzature sotto-utilizzate e tutto ciò a scapito dei bambini che hanno bisogno di un’educazione diversa da quella che poteva essere fornita trent’anni fa.
Gli strumenti culturali di cui dispongono i così detti “nativi digitali” sono di 100 ordini di grandezza maggiori di quelli che avevo a disposizione io alla loro età, ma contestualmente il rischio, in una scuola ancora nozionistica e legata a modelli educativi obsoleti, è di trasformare i bambini in un cumulo di “ignoranti digitali” e farne dei parìa della società prossimo futura; è ora di ripensare all’intero processo formativo, di integrarlo con percorsi di socializzazione e di approfondimento che non si limitino ad un’ora alla settimana di educazione fisica e a due ore di laboratorio,è ora di trasformare la scuola in un centro di aggregazione culturale con personale continuamente formato e fortemente motivato, in grado di guidare i bambini in un percorso che li renda sufficientemente maturi da affrontare le sfide di una società in continua evoluzione e di renderli capaci, superato il concetto di nozionismo, di discernere fra l’enorme mole di informazioni disponibili per ogni argomento.
[1] Tanto lo sapete chi vincerà le elezioni, no?
[2] Organizzare l’asilo, la scuola e il doposcuola, lasciandosi un adeguato margine di manovra ricorda molto il giocare a Tetris.