Una delle opere che mi ha fatto conoscere la letteratura fantascientifica è stato “Il fiume della Vita”, il primo romanzo del ciclo del “Mondo del Fiume” di Philip J. Farmer. La saga di Sir Richard Burton e le sue avventure alla ricerca del mistero del fiume, lungo le cui sponde sembrano risorgere tutti gli essere umani morti in tutti i tempi, mi ha appassionato per anni, fino a che non sono riuscito a reperire tutti i romanzi del ciclo.
Il 25 febbraio 2009 all’età di 91 anni ci lascia anche Philip Josè Farmer grandissimo scrittore di genere anche se spesso ricordato solo per storie SF a sfondo sessuale; in effetti in un periodo in cui la pin-up di turno veniva salvata dal’eroe invincibile con la sua scintillante tuta spaziale Farmer ha segnato una svolta anche descrivendo rapporti sessuali fra umani e alieni… ma questo era solo strumentale alle favolose storie narrate da questo grande scrittore. Beh al limite ci si vede “Alle sorgenti del fiume” ;-)
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Ai più il nome non dirà nulla, ma i fan di Star Trek sanno di chi sto parlando e sono in lutto per la sua scomparsa ieri a causa della leucemia che combatteva da oltre un anno.
Majel è stata a moglie di Gene Roddenberry, il creatore di Star Trek e sarà sempre ricordata per i suoi vari ruoli all’interno della saga.
Nel pilot Majel era il primo ufficiale dell’Enterprise (Spock era solo l’ufficiale scientifico), al comando del Capitano Pike; nella serie regolare il suo ruolo venne ridimensionato a quello dell’infermiera Chapel, innamorata dell’algido vulcaniano Spock. Nella serie classica ha prestato, inoltre, la sua voce al computer dell’Enterprise ed è tornata a farlo nel nuovo film, l’undicesimo, in uscita, che rivedrà riunito il vecchio equipaggio, se pure con nuovi attori.
Dopo la morte di Gene, Majel si è dedicata a cercare di mantenere vivo lo spirito di Star Trek ed ha avuto un ruolo importante se pure non fisso in “The Next Generation” e in “Deep Space Nine” dove interpretava Lwaxana Troi. Il personaggio di Lwaxana, betazoide e madre del consigliere Deanna Troi dell Enterprise-D è certamente più maturo e divertente di quello dell’infermiera Chapel e forse uno dei personaggi più riusciti dell’intero universo trek.
Approfittando del mio week end a Napoli e Salerno e di un noioso viaggio in pullman ho avuto il tempo di divorare un romanzo che avevo da mesi nella pila delle cose da leggere: Slan Hunter. Uno dei motivi percui non avevo mai avuto il coraggio di aprire quel libro erano le recensioni negative al seguito del 1940 dello Slan scritto da Van Vogt che avevo raccolto in giro. Leggendo il romanzo, completato da K.J. Anderson, partendo dagli appunti lasciati da Van Vogt per un sequel, devo dire che ho passato quattro-cinque ore piacevolmente immerso nella solita sospensione della realtà di un romanzo di fantascienza. Ho ripensato allora alle critiche che avevo letto e mi sono reso conto che sono tutte motivate, ma perfettamente applicabili allo stesso Slan, a tutte le opere di Van Vogt a gran parte delle opere di Asimov e genericamente a quasi tutti i romanzi della SF del periodo d’oro. E’un po come per le tette, negli anni 50-60-70 agli uomini piacevano semplicemente le tette grosse, oggi devono essere perfette, modellate dal bisturi di un chirurgo plastico, tecnicamente bellissime, ma poi, a pensarci, manca sempre qualcosa. Molti romanzi SF di oggi sono tecnicamente veri capolavori, godono spesso di critiche positive anche nel genere mainstream ma raramente evocano lo stesso sense of wonder dei romanzi di Van Vogt, Heinlein, Asimov e tutti gli altri.
Ad ogni modo Slan Hunter riprende le gesta di Jommy Cross e dei protagonisti dell’originale Slan. Il presidente Grey è stato deposto dal capo della polizia segreta, il cacciatore di Slan, John Petty ma un grave pericolo incombe sulla Terra. Il pianeta viene attaccato da una nuova razza di slan, i senzantenne che da Marte, per secoli avevano pianificato l’invasione della Terra e l’eliminazione degli essere umani normali ma sopratutto degli odiati Slan che accusavano di aver generato la loro progenie monca. La realtà non è quella che sembra, John Petty, Kier Gray, Jommy Cross, fra doppi giochi e combattimenti intrecciano le loro storie ognuno, a modo suo, con l’intenzione genuina di salvare l’umanità. Il finale, teoricamente sarebbe aperto ad un seguito che dubito che ci sarà mai. Mai dare retta alle recensioni.
Life on Mars è una serie inglese andata in onda su BBC One fra il 2006 e il 2007 creata da Matthew Graham, Tony Jordan e Ashley Pharoah. Siamo nel 2005, l’ispettore capo della polizia di Manchester, Sam Tyler (John Simm), è alle prese con i delitti di un serial killer che ha appena rapito la sua ragazza. Immerso nei suoi pensieri e preoccupato per le sorti della donna, Sam viene travolto da un’auto a folle velocità, mentre l’autoradio suona il famoso pezzo del 1973 di David Bowie, Life on Mars… ed è proprio nel 1973 che si risveglia vestito con i classici abiti dell’epoca a ricoprire il ruolo di un ispettore, sempre nella polizia di Manchester e sempre nel suo distretto, ma alle dipendenze dell’ispettore capo Gene Hunt (Philip Glenister). Spaesato e prima ancora di renderene conto, Sam si ritrova così ad indagare su un caso di omicidio, in qualche modo, in relazione col serial killer del 2005, naufrago nel tempo in un mondo alieno quanto potrebbe esserlo il pianeta Marte. Tutta la serie si fonda analizzando le differenze sociali e culturali che si sono create in soli 30 anni facendoci vedere le cose con gli occhi della polizia e mettendo a confronto le differenze fra un ispettore del 2005 e uno del 1973,h grazie anche alla magistrale interpretazione di Glenister che dipinge tutti gli stereotipi del poliziotto anni ’70, separato, alcolizzato, corrotto, tutt’altro che ligio al regolamento ma fondamentalmente onesto. In quanto a Sam, beh almeno nella prima stagione si rimane sul vago circa una spiegazione su quanto gli sia successo; sembrerebbe in coma e che il 1973 sia tutto nella sua testa ma potrebbe anche aver davvero viaggiato indietro nel tempo o peggio essere completamente folle. In definitiva Life on Mars è una serie magnifica, anche considerando che non stiamo parlando del Doctor Who e di alti budget ma di una serie, tutto sommato, low-cost senza effetti speciali ma con una sceneggiatura grandiosa e degli ottimi autori e attori. Life on Mars, che adesso sta per essere riproposta anche in USA, penso che dovrebbe far valutare gli autori di fiction italiane le opportunità offerte dalle campagne stagionali di raccolta dei pomodori.
Esattamente 45 anni fa andava in onda sulla BBC il primo episodio di una delle serie TV più longeve di tutti i tempi. Fino ad oggi sono state 10 le incarnazioni del Dottore ognuna con un diverso fascino e grandiosi sono gli episodi delle ultime stagioni di “Doctor Who” interpretati prima da Christopher Eccleston e adesso da David Tennant.
Auguri Dottore e 100 di questi giorni.