Settembre, il mondo artificiale vacanziero si infrange contro l’adamantina realtà: la vita quotidiana torna con tutti i suoi fastidi e le noiose sofferenze, la crisi torna prepotente a terrorizzare le notti dell’umanità, il modello standard risorge implacabile dal suo momentaneo oblio per tornare a nutrirsi delle anime dei suoi adepti.
La verità amara è che nessuno di noi può sfuggire a questo triste fato, ma ciò non vuol dire che almeno non ci si possa provare.
Ma andiamo con ordine, questo post prende spunto, da alcune discussioni fatte qualche giorno fa con alcuni amici e si concentra sulla definizione di Modello Standard su cui si basano le nostre vite elaborata da Davide Mana.
. da quando sei in grado di parlare, ti viene detto di tacere e ascoltare
. devi studiare
. se vuoi puoi “toglierti la soddisfazione” di prenderti una laurea, tanto non ti servirà
. poi ti trovi un lavoro onesto
. e ti fai una famiglia
. poi lavori per i quattro decenni successivi per guadagnarti una vita che spendi lavorando
. poi arrivi alla pensione, e te la godi
. poi muori
. ai tuoi figli tocca lo stesso destino… e così per l’eternità. Sarà bellissimo.
Il modello standard, quello che è stato propugnato con poche variazioni, a tutti noi dai nostri genitori e dalla società, in realtà non è immutabile ma cambia di generazione in generazione, solo che è sempre un passo indietro rispetto alla realtà e mentre tutti noi consciamente o meno cerchiamo di tendere ad esso, il bastardo muta e ci fotte. Ogni modello standard, infatti contiene in sé una promessa di felicità, vivi una vita di merda e ci sarà per te un tempo in cui potrai goderne i benefici, una promessa che, nel modello attuale, sappiamo non potrà essere mantenuta, non in questi termini almeno, ma che nonostante tutto ci induce a proseguire verso la strada dell’autodistruzione.
Perché?
Perché il modello standard è una convenzione sociale accettata e propugnata iterativamente e l’uomo è un animale sociale. Prendi la strada giusta e non sgarrare, se no poi te ne facciamo pentire (cit.) perché se qualcuno prova a uscire dal modello standard, se si prova a dire:
– no, io non mi accontento del lavoro di merda sottopagato nella fabbrichetta che si regge sul nero –
la società lo rimette subito in riga prima redarguendolo e poi emarginandolo, costringendolo a tornare sui corretti binari, fino a riportarlo nella massa di pecoroni belanti che in fila per tre marciano verso il baratro.
Eppure dovremmo tutti renderci conto che le cose sono cambiate, che questo modello standard, ammesso che sia realmente il paese dei balocchi che ci hanno prospettato, non è più perseguibile perché il mondo cambia in fretta e c’è la crisi, sì c’è la crisi di un modello economico-sociale che ha fatto il suo tempo; qualunque cambiamento corrisponde ad una crisi, alla crisi proprio del modello standard che implodendo in se stesso lascia per strada i cadaveri di coloro che, irretiti dalle sue promesse di felicità, in esso hanno investito la propria vita, e genera gli zombie di quelli che nel modello ci credono ancora.
Non c’è una via di uscita facile dalle crisi che purtroppo non sono economiche ma di sistema e che possono solo essere cavalcate e in alcun modo contrastate, l’unica cosa giusta da fare è accettare il cambiamento e dice bene Alex Girola, parlando di lavoro, quando afferma
In un’epoca di grandi cambiamenti è auspicabile cercare di sfruttare al meglio le proprie risorse. Se abbiamo dei talenti è ora di sfruttarli. Se possediamo delle capacità che possono essere vendute, coniugando piacere e lavoro, è il momento di tentare questa strada.
Ma distaccarsi dal modello standard equivale a combattere prima contro un condizionamento interno e poi contro una società, per forza di cose conservatrice per preservare se stessa; non è una cosa facile e il più delle volte ti ritrovi di fronte a quello che ti fa capire che “per guadagnare soldi devi fare qualcosa che odi, spezzarti la schiena e arrivare a sera possibilmente stravolto di fatica e sudato. Rigorosamente dalle 9.00 alle 17.00, altrimenti non è lavoro” (cit.).
Quasi che non fosse giusto cercare un lavoro appagante, un lavoro in cui ci si diverte, come se fosse sbagliato cercare di vivere intensamente le proprie passioni e di essere felici adesso e non, forse, poco prima di morire.
Io sono stato fortunato, ho cominciato a lavorare immediatamente dopo la laurea, a due passi da casa, facevo il programmatore, pagato non malaccio per gli standard meridionali; scrivere software è una cosa che mi è sempre riuscita dannatamente bene ma è anche un lavoro alienante, a tal punto che dopo nemmeno un anno mi sono rotto i coglioni e ho cominciato a cercare altro. La cosa divertente è che sono rimasto nel modello standard, non ho detto: Mollo tutto! E faccio solo quello che mi pare , ma ho semplicemente cercato di meglio e alla fine ho trovato rimanendo ancora nel modello standard, un lavoro migliore, pagato molto meglio e che mi consente entro dei limiti abbastanza ampi di essere creativo. Nonostante tutto sono stato biasimato dalla famiglia e dalla società perché chi lascia la via vecchia per la nuova…
Il vero problema del modello standard, però, non sono i vecchi che avrebbero tutte le ragioni di mantenere inalterato lo status quo, bensì i giovani, coloro a cui il futuro è stato negato che non solo non riescono a rinnegare il modello ma nemmeno ad accettare che il mondo possa funzionare (e che per millenni l’abbia fatto) in maniera diversa. Piccoli arrivisti disposti a calpestare prima se stessi, i propri sogni e le proprie passioni e poi gli altri pur di ricavarsi una piccola nicchia in cui prosperare, anche se, in realtà, nel sarcofago che si sono creati all’interno del modello standard c’è spazio a mala pena per la sopravvivenza; esseri insignificanti disposti a truffare, mentire e svendere se stessi per un i-Phone e un piatto di lenticchie, persone per le quali l’unica cosa importante sono i soldi e non come te li sei procurati.
Io, l’ho già detto, sono dentro al modello standard, sono stato condizionato a ricercarlo e ne sono consapevole, ci sono dei giorni in cui rimpiango di aver fatto certe scelte, giorni in cui provo, in un certo senso, invidia per chi ha perseguito strade diverse, in certi casi più impervie, ma ci sono giorni, invece, in cui mi ricordo di essere fortunato, perché in realtà le mie scelte sono state consapevoli e non del tutto lontane dalle mie passioni e dai miei desideri ma sopratutto perché posso condividere sogni, emozioni e desideri con la mia compagna a cui, oltre tutto, mi legano simili apirazioni e identici punti di vista.
Ora, vi prego, tornate alla vostra crisi, tornate al governo ladro e alle tasse ingiuste, ricominciate pure a piangervi addosso perché voi siete le vittime mentre il carnefice è sempre qualcun altro.