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Esperienza entusiasmante partecipare per la prima volta al Napoli COMICON che si è svolto in questo lungo week end del 25 aprile alla Mostra d’Oltremare. Per un motivo o per un altro non ero mai riuscito ad andarci e anche oggi, purtroppo, la visita si è ridotta a una toccata e fuga, ma ne è valsa la pena nonostante tutto. Quest’anno era la  quindicesima edizione abbinata  anche questa volta al GAMECON, al CartooNA e con tante iniziative collaterali.

 

La cosa più bella di questo tipo di manifestazioni è sempre la gente con cui ci si imbatte. A parte la possibilità, com’è stato di incontrare persone con cui condividi gli stessi interessi (ciao Domenico) è bello osservare come i ragazzi non siano tutti rincoglioniti come sembrerebbe, che ne so, leggendo su Facebook, ma al contrario, molti di loro, coltivano interessi sani, divertenti e intelligenti

 

Sarà stato il poco tempo a disposizione, sarà stato il fatto di dover badare ai mocciosi che non ti consente di soffermarti troppo sugli stand, ma da questa giornata ne sono uscito quasi indenne, ho comprato solo 5 adesivi di Mazinger Z e quindi mi posso ritenere soddisfatto.

 

E adesso vi lascio alla parte piacevole per gli occhi della manifestazione con qualche foto di cosplay direttamente da Napoli Comicon 2013.

 

Iron Man 3
Parliamo oggi dell’ultima, strabiliante, pellicola ambientata nell’universo Marvel: Iron Man 3. Attenzione non posso parlarne senza fare almeno qualche riferimento al film per quanto chi non l’ha visto non ci capirà nulla.

 

Dopo lo straordinario successo di The Avengers era tanta l’aspettativa per come sarebbe cambiato l’universo cinematografico Marvel dopo le vicende che avevano visto il mondo sconvolto da alieni e forze paranormali.

In particolare era tanta l’aspettativa per come sarebbe cambiata la vita di Tony Stark dopo aver combatutto insieme ai Vendicatori e aver raggiunto la consapevolezza di non avere, a differenza di Capitan America, Hulk o Thor, reali superpoteri.

 

Questo terzo capitolo della saga di Iron Man è stato presentato, a partire dai trailer, come una sorta di Dark Knight Rises  targato Marvel, con l’eroe ferito, spezzato, depresso che pian piano si risolleva alla ricerca di un riscatto per sé e per tutta l’umanità. Ma Shane Black non è Nolan e, sopratutto, Tony Stark non è Bruce Wayne.

Mark 42Certo abbiamo un nuovo Tony Stark che ha scoperto di essere vulnerabile senza la sua armatura, un Tony Stark con gli attacchi di panico quando ripensa all’attacco a New York dei Chitauri, che l’ha visto quasi soccombere nel varco dimensionale, e abbiamo un Tony Stark costretto a pagare per la sua passata sboronia; ma Tony Stark, anche quando è fragile rimane un genio figo e se il regista del film è lo stesso di Arma Letale, quando arriva il momento di combattere, tutte le menate esistenziali vengono messe da parte per delle sane e liberatorie mazzate.

 

Così, se in una prima parte del film vediamo Tony rifugiarsi nel suo lavoro e cercare di superare gli attacchi di panico rinchiudendosi all’interno delle sue armature, dopo averne progettate 42 modelli diversi,  pian piano si comincia ad assistere ad uno sdoppiamento fra Iron Man, che diventa solo una corazza, un arma, un guscio vuoto, e il vero eroe che diviene Tony Stark, per arrivare all’apoteosi nella scena finale dove tutte le armature vengono in soccorso dell’eroe che le cambia come vestiti vecchi.

 

Iron PatriotNo, non è Dark Knight Rises, Tony Stark non deve scendere all’inferno per rigenerarsi ma ha solo bisogno di recuperare un po’ di autostima facendo quello che sa fare meglio: il meccanico e quando ci riesce non ce n’è più per nessuno nemmeno per Iron Man che simbolicamente viene scaraventato in mare insieme al reattore Arc che Tony aveva nel petto.

 

Un’altra incognita di questo film era il villain, si sapeva fosse il Mandarino, ma non si sapeva come sarebbe stato reso sul grande schermo. Beh in questo la sceneggiatura è stata geniale rappresentandolo come un terrorista senza patria e senza motivazioni che non fossero l’antiamericanismo e disegnandolo come un Bin Laden simbolo e paravento di altri interessi e sopratutto rendendolo finto come un cartonato da centro commerciale. Il Mandarino è solo un attore di teatro che recita una commedia a sfondo drammatico. Il vero cattivo è il piccolo nerd sfigato, Aldrich Killian che, come nel peggiore dei cliché, ha passato 15 anni a rimuginare sull’affronto subito da Tony Stark con il pensiero di distruggerlo, a partire dal suo affetto per la “dolce” Pepper Potts per poi passare a conquistare il mondo. Un anti-eroe sfigato anche all’apice del suo potere e che appare un perdente anche di Mandarinofronte allo stesso avatar del Mandarino.

 

Una considerazione sul futuro Avengers 2. Iron Man 3 ha consacrato Tony Stark a Supereroe relegando ad arma il ruolo di Iron Man ma Tony Stark è Robert Downey Jr.  Finché l’eroe era Iron Man, un po’ come per Spiderman o Batman non era importante chi ci fosse dietro la maschera, ma se l’eroe è l’uomo dentro la corazza… tutto ciò per dire che non si può fare Avengers 2 con Iron Man ma senza  Robert Downey Jr. Mi astengo invece di parlare del bambino, funzionale alla trama più o meno come il concorso di bellezza per l’elezione di miss Chattanooga.

 

Un ultimo appunto sulle armature: la Mk42 è davvero orrenda, quasi più della Iron Patriot che, almeno, è volutamente kitsch, tuttavia la scena finale con le armature che combattono da sole contro i cattivi è, in un certo senso, epica.

 

Ora se la domanda è “Iron Man 3 è un film da vedere?” la risposta è certamente sì ma solo se amate i Supereroi, Indiana Jones e Arma Letale e non avete il poster di Nolan in camera, ed ora, per chi non l’avesse visto, ecco il trailer.

 

Ieri sera ho letto casualmente la parola «Ontario» che ha scatenato in me una serie di associazioni mentali che mi hanno riportato indietro nel tempo a quando, più o meno a 7 anni, leggevo i fumetti Bonelli di mio padre e in particolare ero affascinato dalle avventure del Comandante Mark (OK erano le edizioni Araldo, ma ci siamo capiti), ci sarebbe anche Mister NO, ma ne parliamo un’altra volta.

Il Comandante Mark era il coraggioso capitano dei Lupi dell’Ontario, un gruppo di terroristi di patrioti pronti a combattere contro le malvagie Giubbe Rosse inglesi di Re Giorgio.

La base dei nostri eroi è un inespugnabile fortino su un isolotto nel lago Ontario da dove il mitico Comandante Mark parte per le sue avventure  insieme ai suoi insostituibili compagni Mister Bluff (ex corsaro ed ex compagno del padre di Mark), Gufo Triste (discendente di uno stregone, nonché capo delle tribù dei grandi laghi oltre che pessimista come pochi), El Gancho e Betty ovviamente innamorata del nostro eroe.

Fra intrighi e avventure, combattimenti e tradimenti si snodano. leggere e piacevoli, anche nei pomeriggi estivi di un bambino di sette anni, le avventure del Comandante Mark, dei Lupi dell’Ontario e i simpatici siparietti con Gufo Triste.

Ho visto su eBay che, volendo, si potrebbe acquistare l’intera collezione di fumetti ma, a parte il prezzo esagerato, non avrei un posto dove mettere altri 281 volumetti di questo fumetto  nato nel 1966 dalla penna di Pietro Sartoris, Dario Guzzon e Giovanni Sinchetto, tuttavia so che stanotte ci farò un pensierino ;-)

P.S. Dedicato alla mia amica Sam Bruno che mi ha fatto rivivere quei pomeriggi di 30 anni fa :-)

Inizialmente avevo intenzione di parlare del’ultimo  film della trilogia del Batman di Christofer Nolan, poi mi sono reso conto che non solo arrivo ben ultimo ma che non sarei stato particolarmente originale non potendo  aggiungere alcunché  a quanto è già stato detto su Dark Knight Rises.  A voler proprio esprimere un’opinione il Ritorno del Cavaliere Oscuro è un film molto buono, forse un po lento in alcune parti e con qualche buco di sceneggiatura ma per certi aspetti potrebbe essere considerato il migliore della trilogia ciò, ovviamente, se i tre film potessero essere giudicati singolarmente e non come un’unica opera.

 

Quello che  invece farò, è parlare di Bane, il cattivone del film, quello che <spoiler> quasi spezza la schiena a Batman </spoiler>.

 

Quando sono uscito dal cinema la prima impressione su Bane è stata quella di aver visto il villain più ridicolo della storia dei fumetti al cinema. In verità la mia opinione su questo non è granché cambiata   a distanza di una settimana; la maschera con i tubicini che gli conferisce quell’aria da Dart Fener del Wrestling professionistico e la sua uscita di scena degna di Brutus in qualunque striscia di Popeye non rendono certamente onore al super cattivo che, nella saga Knightfall degli anni ’90, spedì Batman sulla sedia a rotelle; tuttavia, per tutta la settimana,  non ho potuto fare a meno di pensare al suo ruolo nella narrazione di quello che non è un film di supereroi come tutti gli altri.

 

Il vero protagonista della pellicola, infatti, non è Batman e non è certo il piccolo Bane; il reale protagonista del film è  la città di Gotham, la sua gente, la società. Eliminato Batman, Gotham City diventa terra di nessuno, diventa una città morta dove Bane e i suoi uomini promettono la libertà dell’anarchia mentre spadroneggiano sulle spoglie della città trucidando i dissidenti e i membri di quella che, con un termine in voga nell’italietta di oggi, si definisce casta. Gli abitanti di Gotham non sembrano particolarmente infastiditi dall’ingombrante presenza di Bane, anzi i più scaltri si uniscono a lui mentre gli altri sembrano rassegnati se non contenti di rinunciare alla libertà in cambio di una sorta di rivalsa nei confronti dei politici corrotti e dei faccendieri che avrebbero affamato il popolo, una rivalsa che ha il  sapore di una riscossa nei confronti di quel capitalismo  selvaggio che mette sempre in secondo piano l‘uomo; non a caso la falsa rivoluzione anarchica di Bane comincia dalla borsa di Gotham/New York.

 

Importa poco che il fine ultimo di Bane sia quello di radere al suolo la città con un ordigno nucleare, quel che conta realmente è che Bane è riuscito nell’intento di dare alla gente una speranza e, nonostante i pochi margini di manovra concessi dalla dittatura anarchica, la gente è riuscita dimostrare inequivocabilmente di essere morta dentro e di meritare davvero l’olocausto che gli si prospetta. Il film riesce a mostrare la parte peggiore dell’umanità a mettere in luce la debolezza che si cela nell’invidia sociale che si traduce in un falso tribunale del popolo dove l’ignorante diviene burocrate per fingere di amministrare un potere che non gli è mai stato realmente conferito.

 

Anche i dissidenti, i partigiani di questa invasione farzesca, non hanno reali argomentazioni contro Bane e contro il nuovo status-quo; a parte Gordon, che ha dalla sua la conoscenza, gli altri combattono per un ideale generico di libertà, una libertà che, a conti fatti, non avevano nemmeno prima, che non hanno mai avuto. Questo è il motivo per il quale i partigiani del film non sono mai realmente pericolosi per i piani di Bane e diventano un simbolo solo quando vengono impiccati mostrando al mondo intero, non solo a Gotham City, che non c’è più speranza.

 

Nemmeno il ritorno di Batman e il suo estremo (si fa per dire) sacrificio, porta ad una vera redenzione, il male continua ad aleggiare sulla città che nonostante le ferite, nonostante sia stata privata della casta è pronta a ricominciare come prima, è pronta ad accogliere un nuovo giustiziere mascherato che l’aiuti a smacchiarsi la coscienza più nera di un pipistrello nella notte.

 

Io non so se  Nolan volesse realmente dire tutte queste cose, probabilmente no, quel che è certo è che io non ho potuto non ritrovare una profonda similitudine fra la realtà immaginaria di una Gotham City corrotta da redimere e  quella forse meno immaginaria ma altrettanto stereotipata della nostra società. Una società dove eliminato un Jocker sono tutti pronti a seguire un pagliaccio, diverso nell’aspetto forse, ma non nel modo di parlare allo stomaco della gente e  ad alimentare i sentimenti peggiori delle persone cavalcandone l’invidia sociale e concedendo loro di vedere la luce da uno spiraglio di libertà che non gli sarà mai concessa.

 

Rileggendo tutto mi sono reso conto di aver parlato del film più di quanto avrei voluto contraddicendo l’inizio del post, ma ormai è fatta…

Dunque, abbiamo questo ragazzo, James Holmes (un cognome che evoca ben altri scenari… no, non John, parlo di Sherlock…) 24 anni, diplomato al liceo, iscritto a medicina, madre infermiera, padre manager… un tipico ragazzo americano, un tipo tranquillo che vive in una cittadina di provincia, forse gli piacciono i fumetti, di sicuro ama le armi da fuoco. In una delle tante noiose serate di Aurora,  in Colorado, durante la prima di “Batman, The Dark Knight Rises”,  entra, cappotto nero, casco, giubbotto antiproiettile, occhialoni e maschera antigas, nel grande multisala imbracciando il suo Kalashnikov e, forse cercando di imitare le scene di un fumetto di Batman nel 1986, scritto da Frank Miller, o magari no, chi lo sa,  comincia a far fuoco sugli spettatori facendo fuori una dozzina di persone senza distinzioni fra uomini, donne, bambini.

Come classificare un avvenimento simile se non come il folle delirio di un pazzo, di un ragazzo evidentemente disturbato, di un uomo che magari avrebbe dovuto essere aiutato, vittima di una società forse disumana e nello stesso tempo ingiustificabile carnefice, terribile demone la cui mano, armata dal male, si è macchiata del sangue dei suoi incolpevoli bersagli? L’ennesimo caso di violenza indotta dalla brutalità dei fumetti, della tv e dei film infarciti di sangue e violenza gratuita che crea gravi scompensi nelle labili menti degli adolescenti , come se no?!?

Signori, sono più di trenta anni che sento queste stronzate, da quando nel 1980, un gruppo di genitori invasati raccolse 600 firme in una petizione inviata alla Commissione di Vigilanza della Rai,  per denunciare  la violenza e il carattere diseducativo dei certi cartoni giapponesi, in particolare di Atlas UFO Robot.

“…Davanti a certi programmi per l’infanzia colpisce un uso della scienza e della tecnica, della stessa fantascienza legata alla guerra; strumenti sempre più moderni al servizio di una società dominata da lotte feudali e nelle mani di un uomo che regredisce dominato da bassi istinti di avidità e di dominio…”

Sembrava quasi che saremmo diventati tutti assassini e guerrafondai; se quei genitori si fossero preoccupati, magari del tasso di inflazione a due cifre e del debito pubblico che stavano lasciando a quelli stessi figli che pretendevano di preservare dalla brutalità del male, magari oggi avremmo qualche precario in meno fra quei bambini che si esaltavano a guardare, spesso in bianco e nero, le gesta armate di un gigantesco samurai d’acciaio.

E’ la solita vecchia storia, cercare una giustificazione, una qualunque, per potersi alleggerire la coscienza, un capro espiatorio per non guardare dentro se stessi, per non dover essere costretti a giudicare il proprio stile di vita in cui ci si è comodamente adagiati, un comodo espediente per poter dare la colpa ad un fattore imperscrutabile e anche, diciamolo, un modo come un altro per rompere i coglioni.

James Holmes potrebbe essere uno qualunque di voi, uno dei vostri figli, chiunque si senta con le spalle al muro, senza via di scampo e sia abbastanza folle da riuscire ad abbandonare le convenzioni sociali. Non c’è mai un motivo buono per compiere una strage, non lo è quello ideologico, non lo è quello religioso, ma guardatevi allo specchio e chiedetevi quante volte avete desiderato che una persona o un gruppo di persone scomparissero. Solo così avrete la misura di chi è James Holmes e del perché in tutto ciò non c’entrano i fumetti esattamente come non c’entra la diffusione delle armi da fuoco.

Ora, per cortesia, lasciatemi in pace che sto guardando Berserk.