Questo è il periodo delle pandemie cinematografiche, dopo “28 Days Later” è la volta di Blindness, per la regia di Fernando Meirelles, altra pellicola con protagonista una bella epidemia quasi letale, basata, questa volta, sul romanzo dello scrittore portoghese José Saramago, Ensaio sobre a Cegueira che, purtroppo, non ho mai avuto modo di leggere.
Tutto comincia con una strada trafficata e un auto che improvvisamente si ferma bloccando la circolazione. L’autista sembra stare male, viene soccorso dagli altri automobilisti e racconta di essere diventato improvvisamente cieco, ma di una cecità strana, la vista non è scomparsa nella tenebra ma la sua retina sembra impressionata da una luce bianca e lattiginosa.
Quello che può sembrare un interessante caso clinico, però, non è altro che il paziente zero di un’epidemia sconosciuta di cecità che, in breve tempo, sembra diffondersi in tutto il mondo. L’epidemia, tuttavia, non è altro che un espediente narrativo per mostrare l’impatto sulla società di un elemento destabilizzante come la perdita quasi simultanea della vista.
Per tutto il film si assisterà ad un’involuzione sociale, ad un imbruttirsi dell’umanità dove in poche settimane torna a prevalere l’egoismo e la violenza, dove l’importante è la sopravvivenza e dove sono i più forti ad avere il sopravvento; tutto ciò viene raccontato attraverso gli occhi della moglie del medico che per primo ha visitato il paziente zero(nessun personaggio nella storia viene identificato per nome), l’unica persona, sembrerebbe, rimasta immune all’epidemia, una donna che da sola è costretta a reggere il peso di un’umanità in disfacimento e nello stesso tempo ad essere l’unica speranza di rinascita per un mondo sprofondato negli abissi dell’inferno. Una bellissima Julianne Moore che si adatta benissimo al ruolo di una donna che, nel corso della storia, cambia profondamente, anche fisicamente, ma che per tutto il tempo riesce a centralizzare su di se e attraverso la luce dei suoi occhi il ruolo di faro dell’umanità.
Ad un certo punto, come tutto è iniziato, tutto finisce. Il paziente zero, come l’aveva improvvisamente persa, così riacquista la vista alimentando la speranza che, pian piano, tutto torni alla “normalità”; immediatamente si avverte un clima più sollevato; il mondo, di nuovo, si ferma per aspettare, questa volta, che si riaccendino le luci. Si avverte il sollievo della moglie del medico, come se si fosse scaricata di un enorme fardello ma, nello stesso tempo, sembra quasi di intuire una sorta di delusione da parte della donna per non essere più al centro del mondo in bianco.
Film da vedere, se non altro è un pugno nello stomaco.