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Dunque, abbiamo questo ragazzo, James Holmes (un cognome che evoca ben altri scenari… no, non John, parlo di Sherlock…) 24 anni, diplomato al liceo, iscritto a medicina, madre infermiera, padre manager… un tipico ragazzo americano, un tipo tranquillo che vive in una cittadina di provincia, forse gli piacciono i fumetti, di sicuro ama le armi da fuoco. In una delle tante noiose serate di Aurora,  in Colorado, durante la prima di “Batman, The Dark Knight Rises”,  entra, cappotto nero, casco, giubbotto antiproiettile, occhialoni e maschera antigas, nel grande multisala imbracciando il suo Kalashnikov e, forse cercando di imitare le scene di un fumetto di Batman nel 1986, scritto da Frank Miller, o magari no, chi lo sa,  comincia a far fuoco sugli spettatori facendo fuori una dozzina di persone senza distinzioni fra uomini, donne, bambini.

Come classificare un avvenimento simile se non come il folle delirio di un pazzo, di un ragazzo evidentemente disturbato, di un uomo che magari avrebbe dovuto essere aiutato, vittima di una società forse disumana e nello stesso tempo ingiustificabile carnefice, terribile demone la cui mano, armata dal male, si è macchiata del sangue dei suoi incolpevoli bersagli? L’ennesimo caso di violenza indotta dalla brutalità dei fumetti, della tv e dei film infarciti di sangue e violenza gratuita che crea gravi scompensi nelle labili menti degli adolescenti , come se no?!?

Signori, sono più di trenta anni che sento queste stronzate, da quando nel 1980, un gruppo di genitori invasati raccolse 600 firme in una petizione inviata alla Commissione di Vigilanza della Rai,  per denunciare  la violenza e il carattere diseducativo dei certi cartoni giapponesi, in particolare di Atlas UFO Robot.

“…Davanti a certi programmi per l’infanzia colpisce un uso della scienza e della tecnica, della stessa fantascienza legata alla guerra; strumenti sempre più moderni al servizio di una società dominata da lotte feudali e nelle mani di un uomo che regredisce dominato da bassi istinti di avidità e di dominio…”

Sembrava quasi che saremmo diventati tutti assassini e guerrafondai; se quei genitori si fossero preoccupati, magari del tasso di inflazione a due cifre e del debito pubblico che stavano lasciando a quelli stessi figli che pretendevano di preservare dalla brutalità del male, magari oggi avremmo qualche precario in meno fra quei bambini che si esaltavano a guardare, spesso in bianco e nero, le gesta armate di un gigantesco samurai d’acciaio.

E’ la solita vecchia storia, cercare una giustificazione, una qualunque, per potersi alleggerire la coscienza, un capro espiatorio per non guardare dentro se stessi, per non dover essere costretti a giudicare il proprio stile di vita in cui ci si è comodamente adagiati, un comodo espediente per poter dare la colpa ad un fattore imperscrutabile e anche, diciamolo, un modo come un altro per rompere i coglioni.

James Holmes potrebbe essere uno qualunque di voi, uno dei vostri figli, chiunque si senta con le spalle al muro, senza via di scampo e sia abbastanza folle da riuscire ad abbandonare le convenzioni sociali. Non c’è mai un motivo buono per compiere una strage, non lo è quello ideologico, non lo è quello religioso, ma guardatevi allo specchio e chiedetevi quante volte avete desiderato che una persona o un gruppo di persone scomparissero. Solo così avrete la misura di chi è James Holmes e del perché in tutto ciò non c’entrano i fumetti esattamente come non c’entra la diffusione delle armi da fuoco.

Ora, per cortesia, lasciatemi in pace che sto guardando Berserk.

Ho sempre desiderato vedere l’adattamento live action di uno dei cicli letterari che più mi hanno affascinato da ragazzino, il ciclo di Barsoom di  Edgar Rice Burroughs. Quando è stato annunciato dalla Disney l’adattamento cinematografico delle avventure di John Carter e dopo l’uscita della pellicola a marzo, tuttavia, se da un lato sono stato felicissimo,  ho rimandato la visione del film nel timore di vedere rovinato il piacere del ricordo di un grande racconto avventuroso associato ad un periodo felice della mia vita.  Ad ogni modo ieri sera io e Monica ci siamo finalmente approcciati alla visione di John Carter e volendo anticipare il giudizio posso dire, semplicemente, che è un film onesto; ma andiamo con ordine.

LA STORIA

Per chi non conosce il lavoro di   Burroughs riassumo la storia di John Carter raccontata in una quindicina fra romanzi e racconti. Il primo libro, Sotto le Lune di Marte, ci presenta il Capitano John Carter attraverso la lettura delle sue memorie lasciate al nipote. Carter è un ex ufficiale della cavalleria sudista che dopo la Guerra di Seccessione  va alla ricerca di fortuna come cercatore d’oro; tentando di fuggire da un gruppo di indiani finisce per rifugiarsi in una caverna da dove viene misteriosamente trasportato sul pianeta Marte, Barsoom. Su Marte, Carter viene subito fatto prigioniero da una razza di giganti a sei zampe alti tre metri chiamata uomini verdi e appartenenti alla tribù di Thark. In poco tempo Carter si guadagna la fiducia degli uomini verdi ma rimane  prigioniero insieme ad una donna della razza degli uomini rossi, marziani più simili agli esseri umani, e di cui  si innamora, ricambiato, ancora prima di scoprire che la femmina altri non è se non la  principessa della città Helium, Dejah Thoris.

Naturalmente in breve tempo Carter e  Dejah Thoris riescono a scappare solo per finire nuovamente prigionieri, la principessa degli uomini rossi della città di Zodanga e Carter dell’orda dei Warhoon uomini verdi molto più barbari. Carter, ovviamente, riuscirà a fuggire da questa nuova tribù di uomini verdi e si dirigerà a Zodanga per salvare la sua principessa.

Da qui cominciano le avventure di un terrestre, che su Marte trova una nuova casa, una nuova vita  e sarà destinato a cambiare i costumi e la civiltà di un pianeta morente.

Il bello del ciclo di Barsoom  non è tanto la storia, per quanto si possa considerare uno dei capostipiti del pulp avventuroso e della science fiction, quanto le ambientazioni esotiche e la rappresentazione della civiltà marziana. Nonostante il romanzo non spieghi (e come potrebbe siamo all’inizio del ‘900) nulla di come Carter sia giunto su Marte il lettore è subito disposto ad abbandonare la realtà per immergersi, senza farsi troppe domande, nelle avventure di un terrestre che su Marte, grazie alla diversa gravità acquisisce quasi dei superpoteri.

IL FILM

Il film, diretto da Andrew Stanton, con un buon  Taylor Kitsch nei panni di John Carter, riprende le storie del primo romanzo e le ripropone sullo schermo adattandole  e cercando di dare qualche spiegazione in più senza, tuttavia, eccedere troppo in inutili, in questo caso, tecnicismi. Nonostante alcuni elementi in più rispetto al rimanzo e qualche difetto nella sceneggiatura, il film rispetta   le prime avventure di John Carter, terrestre catapultato su Marte alle prese con  orde barbariche e terribili creature ma sopratutto, nonostante tutto nel film sia abbastanza scontato, il susseguirsi frenetico degli eventi lascia lo spettatore col fiato sospeso mentre John Carter salta come una cavalletta da una parte all’altra di Barsoom  salvando principesse discinte e affondando la lama in mostri giganteschi e dal sangue blu. Gli uomini verdi, in particolare, sono molto ben caratterizzati; il modo in cui la loro cultura è presentata allo spettatore e la computer graphic che li anima li rende tutt’altro che alieni, quasi ti aspetti di trovarli alla fermata del bus.

In definitiva, dunque, John Carter è un buon film sia per chi ha amato i romanzi di Burroughs sia per chi, magari più giovane, è totalmente a digiuno delle storie di Barsoom e, in generale, di romanzetti di avventura pulp. Per questi ultimi voglio dire che nel film potrete trovare tante situazioni e ambientazioni “già viste”: beh sappiate che non è stato Stanton a rubarle da qualche parte ma che c’era tutto nella letteratura pulp dei primi del ‘900.

 

Reboot, remake, rebuild… Hollywood non risparmia niente e nessuno e cosa c’è più facile che ravanare nel mondo delle serie TV per riproporre una delle storie più avvincenti degli anni ’80? Parlo, naturalmente, del remake cinematografico di “The A-Team“.

L’A-Team ha lasciato in tanti ex-adolescenti negli anni ’80 un ricordo indissolubilmente legato al taglio alla moicana e al furgone di P.E.Baracus, al sigaro e ai piani di Hannibal, alla Corvette e al sorriso di Sberla e alla follia di Murdok; francamente riproporne una versione cinematografica non deve essere stata un’operazione semplice e, oggettivamente,  ha avuto un successo parziale.

Il film del 2010, prodotto da Ridley Scott oltre che da Stephen J.Cannel (creatore e produttore  della serie originale) in sè non è brutto; Liam Neeson è abbastanza credibile nel ruolo di Hannibal e anche gli altri attori non se la cavano male, a dirla tutta solo Sharlto Copley fa rimpiangere il “Matto Urlante” Murdok della serie TV, ma penso che rimpiazzare Dwight Shultz in quel ruolo sia semplicemente impossibile.

La storia, tuttavia,  sarebbe più adatta ad una buon episodio del vecchio telefilm piuttosto che ad una pellicola cinematografica, il film sembra quasi il pilot di una nuova serie,  ma, alla fine, come ho detto, l’ora e mezza della durata della pellicola passa piacevolmente fra scazzottate, sparatorie e improbabili combattimenti aerei fra droni telecomandati e carri armati in caduta libera.

Rispetto alla serie originale, il plot cambia di poco. L’A-Team rimane una ex-squadra speciale delle Forze Armate USA che ha prestato servizio Medio Oriente anziché in Vietnam e, a differenza della serie TV, alla fine del film l’A-Team trova  le prove per scagionarsi da un reato mai commesso ma, purtroppo, serve un  capro espiatorio, e dopo  un lungo concatenarsi di eventi il film non potrà fare altro che terminare così:

“Sono tuttora ricercati, ma se avete un problema che nessuno può risolvere e se riuscite a trovarli forse potrete ingaggiare il famoso A-Team”

Tutto sommato è stato un piacevole tuffo nel passato e i cameo di Dirk Benedict e Dwight Shultz (riproposti anche dopo i titoli di coda) è quasi commovente :-)

 

Abbiamo parlato della magnifica pellicola di fantascienza Iron Sky, ma non vogliamo soffermarci qualche secondo su Julia  Dietze l’attrice che, che nel film,  interpreta l‘esperta di cultura terrestre Renate Richter?

 

Era una domanda retorica. Julia nasce a Marsiglia nel 1981 da padre tedesco e madre francese (e già questo…). Muove i  suoi primi passi nel cinema nel 2001 con Fickende Fische di Almut Getto, seguito da altri film tedeschi e alcune apparizioni in TV fino al ruolo di protagonista in Mädchen Nr. 1, diretto da Stefan Holtz.

 

Il suo lavoro più importante tuttavia è del 2012 proprio nella produzione indipendente finlandese Iron Sky diretta da Timo Vuorensola. Bene, qualche secondo è passato ora godetevi lo spettacolo.

 

Continuiamo a parlare di The Avengers, il film cult del 2012.
Indiscussa protagonista femminile della pellicola è Natasha Romanoff/Vedova Nera. Il personaggio di Vedova Nera si presenta nell’universo cinematografico Marvel già in Iron Man 2, dove si infiltra nella società di Tony Stark come, Natalie Rushman, la misteriosa aiutante di Petter Pott,  collaboratrice di Stark che assume il ruolo di amministratore della società nel periodo in cui Tony è  alla ricerca un rimedio per non morire avvelenato dal palladio del reattore Arc, il congegno impiantato nel suo petto e che permette al suo cuore di battere. Presto si scopre che Natalie è, appunto Vedova Nera, un’agente dello S.H.I.E.L.D. inviata da Nick Fury per controllare Stark.

Il personaggio di Vedova Nera appare come antagonista di Iron Man nell’universo Marvel già nei primi anni ’60 per entrare come guest star in molte serie, da Amazing Spiderman a Daredavil, a fare parte  dei Vendicatori e, in più occasioni, ad avere una miniserie tutta sua. Tutto ciò senza mai invecchiare e ripassandosi buona parte dei super-eroi Marvel.

In The Avengers, Vedova Nera è interpretata da Scarlett Johansson.

L’attrice statunitense è nata a New York,  il 22 novembre 1984 da Karsten Johansson, un architetto danese figlio del regista e sceneggiatore Ejner Johansson, e Melanie Sloan. Fin da piccola Scarlett sogna di diventare attrice, e nei primi anni ’90 comincia coi primi provini per spot televisivi, fino ad entrare ad otto anni insieme a Ethan Hawke nella pièce teatrale Sofistry.

La carriera della giovane Scarlett è già piena di grandi interpretazioni cinematografiche, da ricordare, oltre ai già citati Iron Man 2 e The Avengers, l’Uomo che Sussurrava ai Cavalli, film con Robert Redford del 1998 che l’ha definitivamente lanciata nell’olimpo delle dive di Hollywood, e il bellissimo The Island pellicola distopica del 2005 diretta da Micheal Bay.

Ovviamente non può mancare una gallery della meravigliosa Scarlett Johansson.