Articoli

La Terra è un pianeta straordinario, culla dell’umanità, unica specie di esseri viventi, ad oggi conosciuta, in grado di incidere sulla natura e di plasmare il pianeta stesso secondo le proprie necessità. Ma la Terra è anche un piccolo pianeta con risorse, tutto sommato, limitate e certamente  insufficienti per sostenere i sei miliardi e mezzo di persone che l’affollano senza creare sperequazioni o la necessità di livellare verso il basso la qualità della vita della sua popolazione. Per questi motivi è necessario che le risorse vengano ottimizzate e si cerchi di ridurre al minimo gli sprechi, gli interventi inutili e dannosi sull’ambiente e quelli funzionali solo al guadagno di pochi.

L’ambiente dunque è una cosa seria, importante, troppo importante per lasciarne la tutela agli ambientalisti, ma sempre più spesso di ciò ci si dimentica e si lascia che poche persone, in buona fede certo ma spesso con una visione delle cose ristretta da meccanismi ideologici, incidano pesantemente su scelte che andranno sul lungo periodo a determinare le sorti di tutti.

Così nel nome dell’ambiente si fanno passare provvedimenti certe volte irrilevanti quando non controproducenti, uno fra tutti, quello che personalmente continuo a trovare esilarante è il divieto della commercializzazione degli shopper di plastica che entrerà in vigore nel 2011.

A prima vista sembrerebbe una scelta saggia quella di limitare la diffusione si sacchetti di polietilene che potrebbero finire per creare danni all’ambiente, data la loro tendenza a non essere facilmente biodegradabili; il fatto è che, come al solito, a fronte di un problema reale manca una soluzione sostenibile.

Il rimedio, a detta degli ambientalisti,  sarebbe quella di portarsi da casa buste di tela, sacchetti di cotone, cartoni, panieri, zaini per trasportare gli acquisti fatti nei negozi. I centri commerciali, naturalmente,  non si sono fatti sfuggire il business e hanno creato tutta una linea di prodotti per contenere la spesa (corredati dai loghi aziendali) da vendere ai consumatori in maniera che possano riutilizzarli in quello o in altri centri commerciali, trasformando così i clienti  in  veicoli pubblicitari più o meno inconsapevoli. Naturalmente la scelta di sostituire le buste di plastica con la sporta da portarsi da casa era ed è improponibile e come si è visto in tutti i centri commerciali che hanno anticipato l’entrata in vigore delle nuove norme dopo un avvio in salsa ambientalista, i consumatori hanno smesso di portarsi le buste da casa e hanno ripreso a comprare i sacchetti al centro commerciale; fenomeno questo a malapena mitigato dalla crisi economica che spinge al riutilizzo ma per motivi diversi. Ancora una volta, però, la GDO non si è lasciata sfuggire i business così al posto dei sacchetti di polietilene(che prima forniva gratuitamente) oggi vende sacchetti in mater-b, un materiale altamente biodegradabile, talmente biodegradabile che raramente arriva alla macchina. Così il consumatore paga delle cifre assurde per portare a casa un sacchetto che non può più riutilizzare.

Ora parliamoci chiaramente, se è vero che un sacchetto di polietilene può causare danni all’ambiente è pure vero che questi sacchetti venivano conservati e riutilizzati per raccogliere la spazzatura. Dunque oggi siamo costretti da un lato a compare le buste in mater-b da buttare subito dopo l’uso e dall’altro a comprar buste di plastica in polietilene o polipropilene per raccogliere i rifiuti. C’è qualcosa che non va vero?

Concludendo gli imballaggi in polietilene sono riutilizzabili,  recuperabili per via energetica e riciclabili, certo non sono biodegradabili ma non è questo il peggiore dei mali se usati razionalmente; di contro non esiste un’alternativa credibile alla plastica che comunque regna sovrana in tutti gli imballaggi, anche là dove se ne potrebbe fare a meno. Dimenticavo, se ancora non fosse chiaro, portarsi la sporta da casa NON è un’alternativa credibile.

Nel 1983 nasce lo Swatch, contrazione di Swiss Watch,  un nuovo modo di concepire l’orologio da polso, il definitivo sdoganamento dell’orologio al quarzo, già in circolazione dagli anni ’70,  la diffusione del concetto di orologio non più come oggetto per la vita ma come accessorio di moda da cambiare in base all’abbigliamento o all’umore.

Come tutti i ragazzi degli anni ’80 ho avuto un numero non determinato di Swatch, certo per moda, ma anche perché talvolta bellissimi oggetti da collezione e ne ho ancora un paio che metto ogni tanto.

<IRONIC MODE ON>

Dagli anni ’80, tuttavia,  milioni di orologi di plastica, a volte di dubbia qualità,  hanno invaso il mercato per finire in pochi mesi nella spazzatura, di sicuro, alimentando il fenomeno della monnezza a Napoli; tutto ciò senza voler tacere dell’impatto ambientale delle piccole batterie che alimentano gli orologi al quarzo, scarsamente ecologiche e spesso smaltite dalle mafie in maniera tutt’altro che lecita, persino negli oggetti quotidiani. Addirittura il cemento con cui è fatta la vostra casa potrebbe contenere una grossa percentuale di nichel derivato dalle batterie a bottone e tutti sanno che il nichel assorbito in quantità eccessive è un grosso pericolo per gli essere umani.

Certo l’orologio al quarzo è comodo, non bisogna ricordarsi di caricarlo, poi oggi con i microprocessori si possono integrare infinite funzioni aggiuntive e alcuni orologi possono persino sincronizzarsi via radio con orologi atomici che danno l’ora esatta con un accuratezza di millisecondi, ma l’ambiente viene prima; bisogna smettere di inquinare e tornare ad un uso più consapevole delle risorse del pianeta. Un piccolo sacrificio, insomma, che ripagherà i nostri figli e le generazioni future. E’ ora dunque di tornare indietro ai valori antichi dei nostri avi e, un po’ come sarà abbandonare le sia pure comode buste di plastica offerte dai supermercati in favore delle più ecologiche sporte della nonna(*), così bisogna ritornare agli orologi meccanici, i vecchi orologi a corda che non abbisognavano di batterie per funzionare, che erano un oggetto di culto tenuto con cura maniacale e che accompagnava la persona per tutta la vita. Certo, è ovvio che se proprio non si vuole rinunciare alla comodità basta prendere un orologio automatico; un orologio meccanico, cioè, che si ricarica da solo sfruttando il movimento del braccio, un orologio assolutamente ecologico che sfrutta l’energia cinetica che altrimenti andrebbe dispersa e contribuirebbe ad un aumento, se pure minimo, del surriscaldamento globale.

Quindi, fate come me(**), passate tutti in massa a un orologio automatico, i vostri figli vi ringrazieranno.

<IRONIC MODE OFF>

(*) L’operazione di sostituire le buste di plastiche con le ecologiche borse della spesa, ovviamente, dopo un boom iniziale di consensi, pian piano si va ridimensionando come si può osservare facendo la spesa  in qualunque ipermercato dove, dopo un’iniziale diffusione di borse di ogni tipo e colore,  si tornano a vedere, sempre più, i carrelli ricolmi di buste di plastica. Ovviamente a guadagnarci, da tutto ciò, sono coloro che adesso fanno pagare caro quello che prima offrivano a titolo gratuito, con buona pace degli “ambientalisti”.

(**) Nella foto un orologio automatico, pure carino, comprato a due soldi su eBay

Pensare che la politica impersonata da quattro impresentabili e incolti avvinazzati (che in nessun caso potrebbero essere rappresentativi di un condominio e men che meno di un’ipotetica macroregione) contribuiscano ad alimentare le divisioni di questa nazione, anche in un momento drammatico come quello che sta vivendo il Veneto in questi giorni, fa veramente ribrezzo. Sentire strumentalizzare un disastro di immani proporzioni per tentare di attuare il tanto auspicato federalismo fiscale all’amatriciana o forse, per meglio dire, in bagna càuda fa pensare a quanta mancanza di acume politico ed economico ci possa essere in questo paese. In questo momento è troppo facile fare considerazioni sull’evasione fiscale nel nord-est, sullo sfruttamento della manodopera extracomunitaria e sulle cause del disastro come si leggono in tutti i giornali; tutte queste elucubrazioni non fanno altro che dare la stura ai soliti meccanismi antagonistici di tifo da stadio che  caratterizzano l’italia ma che mal si addicono alla soluzione dei problemi. Oggi è il caso che tutti gli italiani si rimbocchino le maniche e che come in tante altre occasioni facciano del proprio meglio per aiutarsi a vicenda cercando di non pensare alle cretinate seccessioniste di gente stabilmente ancorata alle poltrone romane o a considerazioni fatte ad alta voce da alti funzionari dello stato su possibili eruzioni vulcaniche. Domani, forse, sarà il caso di fare il punto sulla dissestata situazione idrogeologica dell’italia intera e cercare il modo di limitare i possibili danni futuri.

…ma manc p’o cazz!!!

Qui siamo in via Giuseppe Verdi appena fuori dalla Galleria Umberto I, ovviamente a Napoli, la sera del 6/11/2010 e come si può vedere i proclami non servono a trovare un tappeto così grande da nasconderci tutta la monnezza.

Venerdi ero a Napoli con un collega per lavoro, il navigatore mi porta esattamente all’indirizzo voluto solo che mancava il numero civico. Tralasciando il fatto che il numero civico in questione si trovasse in una strada completamente diversa da quella in cui eravamo e che la strada in cui eravamo era esattamente quella in cui avremmo dovuto essere, dopo aver girato in lungo e in largo lungo la via decidiamo di chiamare per farci dare indicazioni. “Mario, ciao sono Angelo, sono qui sotto vicino all’ufficio postale ma non riesco a trovare il civico” e Mario “se stai risalendo la via lo vedi il cumulo di immondizia all’angolo?”  io: “quale quello più grande o quello più piccolo?” Mario: “quello più grande, gira a destra 50 metri trovi un cancello blu entra e sei arrivato”. Surreale? E’ la pura, sacrosanta verità! Oggi leggo Bertolaso che dichiara che a Napoli l’emergenza può considerarsi chiusa, probabilmente si riferisce all’emergenza relativa alla difficoltà di ricerca dei numeri civici a cui è stato abilmente sopperito allestendo discariche di dimensioni diverse agli angoli delle strade da usarsi come punti di riferimento. Ma seriamente si può immaginare di far risolvere un problema del genere a uno che ha già ampiamente fallito più di un anno fa e sopratutto  come diavolo si fa a credere di poter trovare in tre giorni la soluzione a  un problema endemico di una città come Napoli, rilasciare quattro dichiarazioni compiaciute ai giornali e tornare a fare altro?!? Il problema dei rifiuti a in Campania va gestito;per prima cosa va cacciata l’intera classe politica partenopea che da anni governa regione, provincia e comune e successivamente va fatto un piano almeno quinquennale per la gestione dei rifiuti nella regione, prima facendo accordi con le regioni limitrofe per la gestione del corrente e immediatamente dopo  imponendo la raccolta differenziata e costruendo impianti di riciclaggio e inceneritori ed eventualmente predisponendosi a prendere a calci nel culo chiunque ostacolasse i piani di risanamento di una meravigliosa regione come la Campania sia  che fossero organizzazioni malavitose o che fosse  il solito ambientalista d’accatto.

Intanto la foto sopra l’ho scattata al volo col cellulare: è un normale cumulo di rifiuti, nemmeno dei più grandi.