Al di là delle indagini sulla causa del disastro e delle speculazioni di questi giorni, perché si sa, gli italiani quando non allenano la nazionale sono tutti comandanti di transatlantici, queste immagini di un bestione di quasi 300 metri per 114 tonnellate così adagiato su un fianco, sono davvero incredibili. Chissà quanti viaggi di nozze saranno stati disdettati in queste ore :-)
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Alla veneranda età di 80 anni, stroncato da una grave insufficienza renale ci ha lasciato, il giorno della vigilia di Natale, Jibbs Jr., grande protagonista, insieme all’ex nuotatore Johnny Weissmuller, dei primi due film della saga cinematografica su Tarzan, nel ruolo di Cheetah(Cita), la scimmia, compagna inseparabile dell’uomo della giungla, creato dalla penna di Edgar Rice Burroughs.
Jibbs Jr. viveva, dal 1960, nel Suncoast Primate Sanctuary a Palm Harbor, in Florida, dove, fino a pochi giorni fa, allietava i turisti con le sue performance e dove amava dipingere le sue “opere d’arte” astratte, suonare il pianoforte e ascoltare musica religiosa. Jibbs è entrato anche nel Guinness dei Primati per la sua longevità, inusuale per la sua specie. Nel 2009 la vita di Cheetah era divenuta pubblica grazie a un’autobiografia, “Me, Cheetah“, curata dallo scrittore James Lever.
Un caro saluto a un mito della mia infanzia. R.I.P.
Su un DEC PDP-11, con sistema operativo UNIX, intorno alla metà degli anni settanta, nacque il C, il linguaggio di programmazione capostipite di tutti i moderni ambienti di sviluppo (argh!) software. Il C è il risultato di un processo di evoluzione che parte dal BCBL sviluppato da Martin Richards, passa per la nascita del linguaggio B a cura di Ken Thompson per arrivare al C grazie a Dennis MacAlistair Ritchie. E’ proprio di dmr che voglio parlare. Ieri, infatti, all’età di 70 anni, si è spento Dennis Ritchie, uno degli uomini che ha “rivoluzionato l’informatica moderna“, scommetto che questa frase l’avete già sentita in questi giorni… questa volta però è vero! Ritchie, insieme a Ken Thompson, è stato il principale artefice, presso i laboratori Bell, del sistema operativo UNIX. Ai più, mi rendo conto, questa cosa non dirà nulla, ma UNIX è il padre, praticamente, di tutti i sistemi operativi moderni. Una delle caratteristiche principali di UNIX, rispetto a tutto ciò che c’era prima, è la sua portabilità, il suo essere svincolato dall’hardware della macchina, la possibilità cioè di essere “ricompilato” su diverse piattaforme; non voglio entrare nel tecnico, non è questo il luogo, ma per capirci dentro Linux, Android, iOS, MACOS, c’è molto di UNIX, ma anche DOS e poi Windows devono tantissimo alla creatura di Thompson e Ritchie. In pratica buona parte dei device che oggi affollano le nostre esistenze hanno dentro un pezzetto di UNIX!
Ritchie nella sua vita e per la sua carriera ha avuto un sacco di riconoscimenti, dmr ha lasciato, per il futuro, un’eredità che probabilmente condizionerà le nostre vite per sempre pur se nessuno ne sarà mai consapevole, come ha dimostrato il silenzio colpevole della stampa mainstream che, dopo aver indagato sulla marca dei maglioncini neri a collo alto, non ha dedicato che poche righe, quando è andata bene, alla scomparsa di una di quelle brillanti menti che hanno contribuito allo sviluppo dell’umanità.
void main()
{
while(TRUE);
printf(“Grazie di tutto dmr\n”);
}
Lo so che oggi l’hanno fatto in tanti, tuttavia non voglio esimermi da ricordare la morte di Steve Jobs. I giornali, le TV, internet è piena di elogi per il genio, per l’uomo che avrebbe rivoluzionato l’informatica moderna. Sciocchezze, Steve Jobs era un visionario precursore e un grande uomo d’affari, era il sogno di ogni tecnico, era l’uomo che ha saputo vendere le sue passioni e i suoi sogni alla massa. Steve Jobs non era un genio, non ha inventato nulla, non ha inventato il PC, non ha inventato i lettori mp3, lo smartphone e nemmeno il tablet ma ha il grande merito di averli resi usabili e sopratutto appetibili al grande pubblico, ha il merito indiscusso di aver contribuito a rivoluzionare le abitudini e i costumi del mondo intero con i suoi bellissimi gadget. R.I.P.
Ho iniziato la giornata con la notizia della morte a 79 anni di Sergio Bonelli, una notizia che devo ammettere mi ha rattristato. Non starò qui a tessere le lodi del genio Sergio Bonelli come stanno facendo un po’ tutti sulla rete, in un certo senso, ho sempre identificato Bonelli con mio padre (e anche lui non se la passa bene in questi giorni) e comunque mi ricorda l’infanzia; mi tornano in mente le estati passate ad imparare a leggere sugli albi di Tex di Galep/Nolitta, sui volumi di Zagor e nelle pagine di Mister NO.
C’è poco da dire su Bonelli è stato un buon autore e un editore lungimirante, anche se forse nell’ultimo periodo avrebbe dovuto mollare un po’. La Bonelli Editore, di fatti, ha monopolizzato l’editoria del fumetto italiano involontariamente ostacolando lo sviluppo di correnti alternative e se pure gli scrittori e i disegnatori di Bonelli sono innegabilmente bravi, che che se ne dica, le storie sono troppo ancorate ad alcuni schemi che non dipendono tanto dal filo conduttore della sceneggiatura quanto da un’impostazione “bonelliana” che trasforma Nathan Never in un Mister No del tardo 21esimo secolo e porta Tex Willer dentro le storie di Martin Mystere. Se pure pian piano si è cercanto di innovare introducendo una certa continuity nelle storie, qualche ammiccamento sessuale come in Legs Weaver e limitando il maschilismo, i fumetti di Bonelli non sono riusciti ad attrarre le giovani generazione e, a parte qualche trentenne rincoglionito che si è fatto irretire dalla moda di Dylan Dog negli anni ’90, a comprare gli albi Bonelli sono tutti ultra trentacinquenni. I giovani, in fumetteria, praticamente (e giustamente) comprano solo comics americani e manga giapponesi.
La morte di Sergio Bonelli, comunque, lascerà il segno nella cultura e nell’editoria italiana: se segnerà una rinascita del fumetto nostrano o la sua definitiva dipartita sarà solo il tempo a dirlo.
P.S. Per un po’ ho cercato la copertina di un albo che meglio rappresentasse Sergio Bonelli autore ed editore ed immancabilmente erano albi di Tex, ma tutti stanno pubblicando immagini di Tex e siccome gli albi di Mister NO sono rimasti a casa di mio padre mi sono deciso a pubblicare l’immagine del fumetto che meno rappresenta la Sergio Bonelli Editore: Legs Weaver (che infatti è stato chiuso prematuramente e per me inspiegabilmente visto che ancora vegeta quella porcata di Dylan Dog)