Dexter è un serial killer. Lui non prova sentimenti, uccidere è il suo unico piacere, ne sente il bisogno viscerale, come una fame insaziabile che non riesce mai a placare del tutto. Dexter però uccide secondo un codice, il codice di Henry (suo padre adottivo), una specie di galateo della morte che lo porta ad ammazzare solo persone che si sono macchiate di orribili delitti, altri serial killer o comunque omicidi pronti a reiterare il reato e che in qualche modo sono sfuggiti alla giustizia. Dexter li segue, li addormenta, li lega nudi su un tavolo avvolti nel cellophane, prende loro un campione di sangue da uno zigomo, che conserva in un vetrino quasi come una reliquia, aspetta che si sveglino per metterli di fronte alle foto delle loro vittime e dopo semplicemente li ammazza e li fa letteralmente a pezzi. Alla fine usa delle buste dell’immondizia per conservare i pezzi di corpi per poi buttare tutto in mare. Non c’è cattiveria in Dexter, solo fame.
Dexter è una delle più belle serie TV degli ultimi anni e al contrario di quanto sembrerebbe da ciò che ho scritto sopra è tutt’altro che una serie cupa. Dexter, per tutta la vita, è stato addestrato da Henry, suo padre adottivo, a mantenere un basso profilo, a nascondere la sua vera natura cercando di avere un comportamento “normale”. Così Dexter finge di voler bene alla sorella adottiva Debra, finge di avere un normale rapporto di coppia con Rita, finge di amare i bambini della sua compagna, finge di provare disgusto di fronte ai reati di cui è testimone lavorando per la scientifica della polizia di Miami. In realtà Dexter non prova sentimenti è solo come un lupo affamato, con uno strano codice etico, che cerca di ritrovare se stesso vittima dopo vittima, cerca di sapere cosa si prova ad avere il cuore che batte all’impazzata. Nella prima stagione, pian piano si scopre che il comportamento di Dexter dipende da quello che gli è successo prima di essere adottato da Henry e che forse chiunque di noi in quelle condizioni sarebbe diventato uno psicopatico, un serial killer, o tutti e due. La sigla iniziale della serie, poi è un vero capolavoro, che ne riassume esattamente lo spirito; se non l’avete ancora visto, guardate Dexter, ne vale la pena.
Un pensiero sugli anni ’70 prendendo spunto da Life on Mars. Life on Mars è la canzone di David Bowie da cui il titolo di una fra le serie inglesi, fra le più innovative degli utlimi anni. In questi giorni sto, invecem guardando il remake made in USA della serie, tutto sommato nemmeno cattivo per essere un remake fatto dopo poco più di un anno dalla serie originale. La serie è ambientata nel 1973, casualmente il mio anno di nascita e da qualche giorno, vedendo Pierpaolo sempre più presente, non posso fare a meno di pensare che, proprio negli anni 70 avevo l’età di mio figlio e non riesco a non provare nostalgia per quel periodo. Certo non posso dire di aver vissuto pienamente gli anni ’70, ero troppo piccolo, ma ci vivrei adesso, cavolo se vorrei essere nel 1973. Negli anni settanta erano tutti convinti che nel 2000 le macchine, che allora viaggiavano a targhe alterne per la crisi del petrolio, avrebbero solcato i cieli. Oggi quelle stesse macchine non solo non volano, ma viaggiano a targhe alterne semplicemenbte perchè sono troppe.Nel 1973 andava in onda per la prima volta, in Giappone, Mazinga Z, oggi, guarda caso, in Giappone va in onda Shin Mazinger Z-Hen ma non è la stessa cosa. Ovvio Shin Mazinger è più bello(oddio le animazioni non è che siano ‘sto granchè), la storia è più coerente, ma forse allora Mazinga per un bambino poteva essere quasi una credibile ipotesi futuristica, di sicuro generava fiducia in un futuro migliore dove il male veniva sempre sconfitto, oggi… beh oggi è solo un altro cartone animato, se pure molto bello. Io ci vivrei negli anni ’70, quando per fare un tema c’era bisogno del vocabolario e le ricerche si facevano sulle enciclopedie, quando il sapere non era a portata di click e la televisione era la sola finestra sul mondo e aveva pure le sbarre. Ci vivrei non perchè penso che così fosse meglio; no accidenti, ci vivrei perchè l’uomo allora era diverso, migliore, cercava di superare i propri limiti, non c’era il buonismo imperante oggi ne il bigotto moralismo che si contrappone al progresso; in Italia erano tutti un po’ più provinciali, certamente più ignoranti, ma non era colpa loro. Oggi in italia le persone sono colpevolmente ignoranti: tutti noi disponiamo di strumenti inimagginabili solo trenta anni fa ma continuano esserci molti, troppi, analfabeti educati dalla TV non più finestra, per quanto piccola sul mondo, ma strumento di persuasione e propaganda da far quasi credere che i cosidetti manager di questo enorme carrozzone mediatico usino come libro di testo 1984 di Orwell.
Finalmente, anche se in ritardo, ho visto l’undicesimo film di Star Trek per la regia di J.J. Abrams e ho giusto voglia di farne una piccola recensione, seguiranno ovviamente spoiler sul film.
Siamo intorno al 2200 e una nave mineraria romulana, la Narada, viene qui sbalzata dal futuro attraverso una singolarità, la U.S.S.Kelvin, nave della Federazione, inviata per indagare viene facilmente sopraffatta dalle armi del futuro, sia pure di una nave “commerciale”. A bordo della Kelvin il comandante George Kirk e sua moglie al nono mese di gravidanza. Morto il capitano, Kirk prende il comando e muore salvando l’equipaggio della sua nave, sua moglie e il suo bambino nato durante la crisi con la Narada, il piccolo James T. Kirk.
Da questo punto un poi la storia della Federazione e della Flotta Stellare non è più la stessa tanto amata dai fan delle varie TOS, TNG, DS9 e VOY. Abrams e la Paramaunt semplicemente hanno fatto un’operazione di reboot dell’intera saga di Star Trek, Ma procediamo con ordine. Kirk cresce, spavaldo come sempre, ma senza padre, una guida che l’aveva indirizzato verso la Flotta Stellare e gli aveva inculcato certi principi etici. Ovviamente il destino lo porta comunque ad arruolarsi nella Flotta e complici le parole del Capitano Pike, il primo capitano, anche in questa linea temporale della U.S.S. Enterprise. Kirk diventa, dunque, un cadetto all’Accademia della Flotta, si diploma in tre anni e, come nell’altra linea temporale, supera, imbrogliando, il test della Kobayashi Maru. Kirk viene sospeso per il suo imbroglio ma nonostante tutto e con l’aiuto di McCoy, anche lui cadetto della Flotta e già suo amico, riesce comunque ad imbarcarsi sull’Enterprise, nuova ammiraglia della Flotta al suo viaggio inaugurale. L’Enterprise, grazie a Kirk, riesce a salvarsi dall’imboscata della Narada di Nero giusto in tempo per assistere alla distruzione di Vulcano. Questo è il momento che più di ogni altro ha fatto storcere il naso al fandom di Star Trek, disposto a riavere indietro Braga pur di sperare in un paradosso temporale che salvasse Vulcano ma questo a mio avviso è davvero il colpo di genio di Abrams e il momento clou del film. La distruzione di Vulcano, il genocidio dei vulcaniani segna una vera e propria rottura con lo spirito trek/pacifista/buonista instillato nella saga a partire da Roddenberry. La fiducia nel futuro degli anni ’70 non è stata scalfita dalla guerra fredda ne dalla spada di Damocle di una Terza Guerra Mondiale ma è stata completamente annientata dal terrore dopo l’Undici Settembre. La distruzione di Vulcano non può fare altro che portare ad una Federazione meno riflessiva e più violenta esattamente come la reazione di Kirk e Spock alle parole di Nero sul finale del film quando, di comune accordo, hanno annientato la Narada, inerme, con i phaser a piena potenza; mai prima d’ora un capitano della flotta stellare d’accordo col suo primo ufficiale si era comportato così, nemmeno di fronte ai Borg, ma qui abbiamo un nuovo Kirk, con meno principi morali e uno Spock diverso, uno Spock distrutto per il genocidio della sua gente, uno Spock pronto a vendicarsi, a odiare e ad amare.
Il film scorre veloce fino ai titoli di coda e certo non ci si annoia un attimo, ovviamente qualche nota dolente c’è, una per tutte Uhura. Il suo flirt con Spock è inutile nell’economia del film e totalmente fuori contesto anche nell’ottica di voler presentare uno Spock più “umano”, l’attrice, Zoe Saldana, poi appare totalmente inadatta anche (ma non solo) per la taglia del reggiseno assolutamente non confrontabile con quella della Uhura pre-Nero. La cosa peggiore però è il fatto che non sono stati i Borg, non è stato un Fondatore rinnegato ma a fare tutto questo casino, a cambiare letteralmente la storia della Fondazione è stato Nero, un romulano sfigato, un personaggio piatto, scialbo, squallido, inutile.
P.S. L’Enterprise ha sempre il suo fascino in ogni tempo ed ogni dimensione
Ai più il nome non dirà nulla, ma i fan di Star Trek sanno di chi sto parlando e sono in lutto per la sua scomparsa ieri a causa della leucemia che combatteva da oltre un anno.
Majel è stata a moglie di Gene Roddenberry, il creatore di Star Trek e sarà sempre ricordata per i suoi vari ruoli all’interno della saga.
Nel pilot Majel era il primo ufficiale dell’Enterprise (Spock era solo l’ufficiale scientifico), al comando del Capitano Pike; nella serie regolare il suo ruolo venne ridimensionato a quello dell’infermiera Chapel, innamorata dell’algido vulcaniano Spock. Nella serie classica ha prestato, inoltre, la sua voce al computer dell’Enterprise ed è tornata a farlo nel nuovo film, l’undicesimo, in uscita, che rivedrà riunito il vecchio equipaggio, se pure con nuovi attori.
Dopo la morte di Gene, Majel si è dedicata a cercare di mantenere vivo lo spirito di Star Trek ed ha avuto un ruolo importante se pure non fisso in “The Next Generation” e in “Deep Space Nine” dove interpretava Lwaxana Troi. Il personaggio di Lwaxana, betazoide e madre del consigliere Deanna Troi dell Enterprise-D è certamente più maturo e divertente di quello dell’infermiera Chapel e forse uno dei personaggi più riusciti dell’intero universo trek.