Ieri mattina ho incontrato il mio amico Roberto Lorusso che mi ha detto, fra le altre cose, di aver cambiato la sua Volvo, di dieci anni, per una Smart; ciò per una precisa scelta etica, dettata dalla sua volontà di mantere un regime di vita basato sul rispetto dell’ambiente e della collettività. Ineccepibile, una Smart ha bisogno certamente di minori risorse e indubbiamente inquina meno di una vecchia Volvo a nafta, io ho obiettato solo che, probabilmente, la piccolina di casa Mercedes non fosse altrettanto comoda, in particolare per un uomo alto 1,90. Tuttavia ho continuato a riflettere su questo episodio e mi sono ricordato di una cosa che avevo letto un po’ di tempo fa. Si tratta di un vecchio rapporto realizzato da Amici della Terra in collaborazione con le Ferrovie dello Stato dove, in breve, si facevano due conti sui costi di fabbricazione e smaltimento di un’autovettura in rapporto a quelli dei mezzi di trasporto collettivo.

In breve il documento partiva dall’assunto che un’autovettura, oggi, pesa mediamente circa 1,2 tonnellate di cui la maggior parte acciaio e ghisa, poi  alluminio,  rame,  vetro,  plastica,  gomma, vernici senza considerare la  batteria,  i pneumatici e i liquidi vari.

La produzione  richiede l’utilizzo di più di 100 metri cubi di acqua, l’emissione di 4 tonnellate di CO2 e la produzione di quasi 200 Kg di rifiuti non riciclabili mentre, nello smaltimento, il 20% dei materiali non può essere riciclato finendo in discarica per rifiuti speciali o pericolosi e in parte abbandonato nell’ambiente.

Ora non è il caso di Roberto che ha tenuto la sua macchina per dieci anni ma la maggior parte delle vetture vengono vendute o rottamate dopo 6-7 anni di vita e più o meno 200.000 Km.

La realtà è che:

1) nulla, a parte l’introduzione dell’obsolescenza programmata, vieta ai produttori di costruire automobili in grado di durare 20 anni e 1.000.000 di km(1);
2) il cambio della vettura, troppo spesso, è indotto dal susseguirsi delle mode e dall’uscita di nuovi modelli(fino all’introduzione del MY, Model Year, che porta a differenziazioni in piccoli particolari stilistici) che rendono obsoleto il modello precedente introducendo, negli allestimenti, elementi tecnici di cui nessuno sente realmente  il bisogno fino a quando, questo, non viene indotto dalla pubblicità e dalle mode;
3) riparare un’automobile costerà sempre meno che comprarne una nuova.

Tutto ciò non cambia nemmeno se sostituisco un’auto inquinante con una (teoricamente) pulita, perché il punto di pareggio fra i costi ambientali di produzione e smaltimento e il delta fra il vecchio e il nuovo fattore di carico ambientale potrebbe anche non essere mai raggiunto, in particolare, se il ciclo di vita delle vetture rimane troppo breve; intendo, in pratica, che anche se si dovesse passare ad una macchina realmente  meno inquinante il danno all’ambiente rimarebbe  sostanzialmente inalterato(2).

Non nascondo che stavo pensando di sostituire la mia FIAT Stilo 1.9 JTD da… ehm… 115cv (che infinite soddisfazioni mi ha dato) e lo stavo facendo cercando di autoconvincermi che fosse diventata vecchia, inaffidabile ed economicamente non sostenibile. La verità è che, in fondo, ho sempre saputo che queste sono banali giustificazioni anche se non avevo mai razionalizzato la cosa; dopo queste riflessioni, dunque, magari cambierò la macchina ma, almeno, lo farò con la consapevolezza che la mia scelta è dettata dal piacere di guidare un’automobile nuova senza inventare scuse con me stesso e sapendo che la mia decisione si concretizzerà in un costo economico per me (nessun risparmio nemmeno sul lunghissimo termine) e in un costo per l’ambiente :-)

(1) un mio collega, con una Mercedes 190, 2.0, del 1992 ha percorso 1.200.000 (un milioneduecentomila) Km prima della rottamazione

(2) ciò vale anche per le auto elettriche, per lo meno fino a quando l’elettricità verrà prodotta utilizzando, in maggioranza, fonti di energia a forte impatto ambientale. L’unica soluzione sostenibile, allo stato attuale, è la scelta di rinunciare al mezzo privato in favore dell’utilizzo dei mezzi pubblici; possibilità, questa, sostanzialmente non perseguibile, se non nelle grandi città, vista l’esiguità della spesa (non solo in Italia) per il trasporto pubblico.

Fino a qualche mese fa il leader del partito con il maggior numero di consensi in italia era il proprietario di uno fra i più grandi imperi della comunicazione a livello mondiale(1), oggi finalmente le cose sono cambiate: il partito con la maggiore crescita di consensi(2) uscito da queste elezioni amministrative, infatti, sarebbe controllato da una piccola società di comunicazione o almeno è così se sono vere le parole di Valentino Tavolazzi, eretico del M5S, che dopo essere stato contattato dal neo-sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, per il ruolo di DG al comune emiliano ed essere stato sconfessato pubblicamente dallo stesso Beppe Grillo, afferma:

 «È stato Pizzarotti a contattarmi. Non riconosco Grillo in quel post bugiardo. Qualcuno ha perso il controllo. Il movimento è nostro, non di Casaleggio»

A prescindere da ogni altra considerazione  l’episodio di Tavolazzi, insieme ad altre polemiche susseguitesi sia a Parma che in altri comuni, ora governati da esponenti del M5S, dimostrano, se ancora ce ne fosse bisogno, che la politica non la fanno le idee o la partecipazione ma le persone che queste idee sono chiamate a rappresentare e che se, dopo nemmeno cinque giorni dal responso delle urne, si finisce invischiati nel solito teatrino delle contese mediatiche per questioni squisitamente partitiche vuol dire solo che la democrazia continua ad essere un sistema di governo a dir poco imperfetto e che è ora di usare la bio wash ball per ripulire il sistema senza fare uso di detersivi.

(1) e se, come credo, qualcuno si sta per approcciare al Popolo di Internet (occhio al nome del nuovo partito ;-)) col giusto linguaggio non è detto che le cose non possano ritornare ad essere come pochi mesi fa

(2) va considerato ovviamente il voto di protesta e l’astensionismo ma l’affermazione dell’approccio populista del M5S alla politica, col suo richiamo all’impraticabile concetto di democrazia partecipata, è innegabile

Ieri mattina, finalmente, anche qui in Puglia e con un ritardo di anni, si è concretizzato il famigerato Switch-Off per il passaggio dalla TV analogica alla vecchia tecnologia del DTT. Me ne sono accorto perché Pierpaolo ha avuto un moto di rabbia quando si è reso conto che l’unico canale televisivo che si guarda in casa nostra, Disney Junior, già presente, a pagamento, sul digitale terrestre  ha smesso di trasmettere, insieme, come prevedibile, a quasi tutti gli altri.

Niente di male, anzi quasi una liberazione a parte il canone di Mediaset Premium da disdire e quello RAI estorto in ogni caso; mai mi sarei aspettato, quindi, che questo fosse sintomo di una tragedia che nemmeno il terremoto per gli emiliani. .. Arrivo in ufficio e già dalle signore delle pulizie apprendo del disastro del digitale terrestre, vado al bar per un caffè e non si parla altro che di decoder e prese scart, torno a casa, la sera, e trovo l’SOS dei parenti, a partire da mio padre che, disperato, aveva già chiamato mio cognato per riconfigurare i televisori della cucina e del soggiorno ma che  non è venuto a capo della risintonizzazione del decoder della camera da letto.

Ora a parte il rifiutarmi di andare, dopo una giornata di lavoro, a cercare di capire la logica perversa dei vari decoder cinesi(1) inseriti nelle TV o negli scatolotti dei centri commerciali, non dico che sarebbe meglio, per chi ha problemi con Canale 5, leggere un libro però, diavolo, siamo in Puglia, in una meravigliosa primavera, è mai possibile che non vi viene voglia di uscire e preferite buttare il vostro tempo a guardare Beautiful e le altre puttanate propugnate dalla televisione nostrana, insomma, capisco mio figlio che vuole i suoi cartoni, ma mio padre, mio nonno e tutti gli altri? No, perché pare che fra gli anziani (2) ci sia stata una vera e propria emergenza, di tipo quasi sanitario, con migliaia di telefonate ai numeri istituiti ad hoc, si parla persino di speculazioni dei venditori di decoder cinesi(1) e degli (c.d.) antennisti.

Forse forse, quando dicono che bisogna lavorare fino a 70 anni tutti i torti proprio non ce li hanno. Vedi il caso di mio padre, una persona attiva che ha sempre lavorato al contatto col pubblico e in posizioni di responsabilità si ritrova oggi trasformato, a meno di 70 anni, in un’ameba dipendente dalla TV, arresosi ad una forma di artrite nemmeno gravissima come se fosse un malato terminale, che letteralmente non dorme perché le sue TV non vedono tutti i canali RAI e Mediaset. Certo magari è lui ad essere un caso patologico ma sono convinto che oggi, se stesse ancora lavorando o si fosse appena congedato, sarebbe un signore arzillo e in piena forma; ho persino paura a chiamare per chiedere come sta che già so che mi parlerà del suo personale disastro televisivo e, francamente, la cosa mi irrita.

(1) cinese qui è usato nell’accezione di scadente, con ciò non voglio dire che in Cina si produca roba scadente ma solo che  in Italia si importano prodotti economici realizzati in paesi con un basso costo della manodopera e richiedendo degli standard di qualità non proprio elevatissimi.

(2) per anziani, qui, si intendono gli over 60, che nel 2012 non mi sembra possano essere considerati vecchi


Eccoci al quarto capitolo della saga dei tributi a Ucronìa.it. Tutto è iniziato i primi dell’anno con le foto inviate per e-mail da una ragazza che mostrava le sue tette  con su scritto Ucronìa.it. seguito dall’emoticon di un sorriso. Da allora mi sono arrivate varie foto simili da altre due ragazze che ho pubblicato.

La voce deve essersi sparsa perché nelle ultime settimane è arrivato di tutto. Molte immagini malamente ripassate a Photoshop ma anche alcune foto vere ma, diciamo, impubblicabili e qualche numero di telefono :-). Questa è la volta di Alessia, che ringrazio, che si mostra in bikini col suo splendido sorriso :-)

Riepilogando:

Tributo a Ucronìa.it
Tributo a Ucronìa.it (2)
Tributo a Ucronìa.it (3)

Le recenti elezioni amministrative, se mai ce ne fosse ancora bisogno, rafforzano la mia personale idiosicrasia per il principio del suffragio universale. La possibilità di contribuire con la propria opinione alla vita politica del proprio paese non può essere subordinata esclusivamente all’età, ma si rivela sempre più necessaria una verifica di alcuni requisiti minimi per concedere una così pesante responsabilità ad un individuo, ciò per fare in modo di ridurre al 30% il numero degli aventi diritto al voto; quello che succede, altrimenti, è che coloro che si sono lasciati imbonire dalle sparate di un ex-animatore da crociera finiscono per lasciarsi suggestionare dal populismo spicciolo di un ex-comico televisivo.

E’ ovvio che se parlano di abolizione delle province, accorpamento dei Comuni sotto i 5.000 abitanti, esame obbligatorio per ogni rappresentante pubblico, riduzione a due mandati per i parlamentari e per qualunque altra carica pubblica, eliminazione di ogni privilegio particolare per i parlamentari, giusto per citare qualche passo delle 15 pagine del programma a 5 stelle, molti sono lì con la schiuma alla bocca eccitati dall’aspettativa di distruggere la casta (non potendo farvi parte). E’ proprio questo il motivo per il quale queste persone non dovrebbero avere diritto ad esprimersi in sede di consultazione elettorale.

Sia chiaro, se pensate che io ce l’abbia su con Grillo siete sulla strada giusta; il motivo è presto detto: agli inizi del 21esimo secolo il nostro comico, in una serie di spettacoli teatrali itineranti, sciorinava tutta una serie di luoghi comuni su internet e la tecnologia additando la Rete come un covo di pervertiti salvo, poi, pochi anni dopo, aprire il suo blog e utilizzare Internet per raccogliere fans adoranti e diffondere, in alcuni casi, informazioni fuorvianti (vedi la bio wash ball per lavare i panni :-) ). Una persona del genere, dunque, non mi rappresenta esattamente come non mi rappresentava l’ex-premier Silvio Berlusconi, e concordo con Dario Franceschini, un Grillo presidente del consiglio a colloquio con Angela Merkel mi farebbe vergognare di essere italiano, probabilmente ancora di più di quanto non avveniva, fino a pochi mesi fa con il miglior presidente degli ultimi cinque secoli.

Ciò detto il problema non è Berlusconi o, in questo caso, Grillo ma rimangono gli italiani, pronti a seguire qualunque capo-popolo che parli al loro stomaco dal momento che il cervello proprio non riescono a farlo funzionare.

Spero, dunque, che questo commissariamento dell’Italia, con Monti Presidente del Consiglio o con qualunque altro mezzo, continui in maniera indefinita o almeno fino a quando (quando?) questo Paese non avrà la maturità per autoregolamentarsi.