Girando sui social in questi giorni mi sono imbattuto nell’elogio sperticato di “Don’t look me up”, eletto erede spirituale di “Idocracy”, consacrato film cult di tutti i tempi… una produzione Netflix.
Diversi anni fa, prendendo spunto da La Tuta Spaziale” (Have Space Suit — Will Travel), romanzo per ragazzi scritto nel 1958 da Robert A. Heinlein, scrissi un post sulle tute spaziali e sul loro impatto nell’immaginario collettivo.
Evidentemente non sono l’unico ad essere sempre stato affascinato da questo oggetto, protagonista dell’epopea per la conquista allo spazio, anche Elon Mask, infatti, durante la preparazione della missione Crew Dragon Demo-2, la prima missione privata con astronauti a bordo, partita ieri sera da Cape Canaveral alla volta della ISS, non ha tralasciato il design delle tute spaziali.
L’imprenditore si è rivolto, quindi, a Jose Fernandez, un famoso costumista di Hollywood, che da sempre ha lavorato alla creazione dei costumi per i supereroi realizzando i costumi di Wonder Woman, Wolverine, Captain America, Batman, ed eccoci così catapultati in un film di fantascienza degli anni 50, con delle tute spaziali diverse dai goffi scafandri usati fino ad oggi dalla NASA ma più simili alle armature di HALO 4 con i colori, bianco e grigio scuro, scelti dal nostro Elon Musk in persona.
Ovviamente le nuove tute spaziali non sono solo un grazioso outfit dall’indubbio gusto estetico, ma sono un vero e proprio ritrovato della tecnologia che non ha nulla da invidiare alle ACES (Advanced Crew Escape Suit) della NASA o alle Sokol russe, le tute di SpaceX sono leggere e perfettamente adatte a muoversi all’interno della Dragon e della ISS. Le connessioni elettroniche e il supporto vitale sono allocate sulla coscia e si agganciano al casco stampato in 3D, dotato di microfoni, valvole integrate e meccanismi per la retrazione e il bloccaggio della visiera; non ne è noto il costo ma è possibile ipotizzare che per la progettazione ex-novo di un sistema con le stesse caratteristiche di ACES, gli investimenti possano essere dell’ordine del mezzo miliardo di dollari.
Ovviamente, quelle di SpaceX, non sono tute per attività extraveicolari, per quel tipo di attività verranno ancora usate le tute modulari semirigide americane EMU o le Orlan russe.
Credo di non aver mai visto al cinema una produzione italiana, o almeno non me lo ricordo (sì lo so sono uno schifoso snob); trovo il cinema italiano odiosamente provinciale e ancorato a trame desuete e terribilmente localizzate. È raro imbattersi in produzioni cinematografiche(per non parlare delle fiction) italiane con un respiro più ampio di quello legato alla turpe storiella di due amanti di provincia, all’eroismo delle forze dell’ordine e all’amore incondizionato del prete di campagna. Una sorta di mutamento sta avvenendo negli ultimi anni col filone al genere drammatico/poliziesco di film come Gomorra o Romanzo Criminale ed è proprio a questo sottogenere della cinematografia nostrana che questo Lo chiamavano Jeeg Robot, diretto da Gabriele Mainetti, si aggancia per una rappresentazione in chiave spaghetti-heroes dell’eroe con super poteri e grandi responsabilità. Non che non ci avesse provato Gabriele Salvatores due anni fa con Il Ragazzo Invisibile ma, inutile nasconderlo, con scarso successo (di pubblico e di critica)
Attenzione, se non avete ancora visto il film, proseguendo nella lettura potreste imbattervi in qualche spoiler.
Siamo nel 2142 e l’umanità come la conosciamo oggi è sull’orlo dell’estinzione, un virus letale, Agave, sta sterminando infatti la popolazione femminile, pochissime sono le donne in grado di raggiungere i trenta anni e ancora meno quelle in grado di riprodursi e mentre un’Europa, che stenta ancora a riprendersi dalle Guerre del Mediterraneo, rielegge il suo Dittatore Joseph Zeudi, l’Alleanza delle Americhe, sta discutendo in nuovo disegno di legge per dismettere tutti gli organismi cibernetici per intrattenimento e sostituirli con il nuovo modello Lei™.
Nell’universo di Perfection, creato da Germano M., l’umanità ha, infatti, cominciato ad impiegare automi dotati di IA in svariati campi e la progressiva scomparsa del genere femminile ha contribuito a creare modelli da intrattenimento sempre più simili agli esseri umani, dotati di una forma di autocoscienza e naturalmente più forti, più veloci e sopratutto immuni dalle malattie; organismi cibernetici quasi perfetti nell’assolvere alla loro funzione di surrogato dell’umanità.
I racconti che compongono l’ebook di Germano M. sono ambientati a Perfection, una cittadina in un valle desertica, un tempo sede di importanti compagnie di estrazione mineraria, di cui rimane un agglomerato di strutture abitato ormai soltanto da 151 persone e dai loro androidi.
In questa cittadina immaginaria di questo mondo apocalittico, otto personaggi, superbamente caratterizzati in otto racconti, vivono una notte in cui succede di tutto nell’attesa che la Energom, proprio in quella zona, dia il via ai test per l’elettricità senza fili che segnerà l’ennesima rivoluzione di un mondo sempre meno popolato da un’umanità destinata ad essere soppiantata dalle creature che essa stessa ha creato, nuove forme di vita per molti aspetti simili ai propri creatori e per altri migliori di essi.
I racconti di Germano M., raccolti in questo primo ebook, nonostante lo stile ironico e a tratti scanzonato ci fanno immergere in un’atmosfera decadente e oppressiva, fanno sentire sulla pelle del lettore la sensazione di disastro imminente, di una lenta fine del mondo annunciata e accettata inconsciamente dalla gente come ineluttabile.
Una menzione particolare merita il racconto “La Variante” sia per il rapporto fra Shikoba e il suo androide Lizzie che, a mio avviso, racchiude lo spirito di Perfection e sia per la scena della tortura raccontata in maniera talmente vivida da dare quasi l’impressione al lettore di essere nella stanza insieme a loro.
L’ebook Perfection (Le storie di Perfection Vol. 1), è uno dei tanti lavori prodotti dalla Moon Base Factory ed è disponibile sulla piattaforma Amazon al prezzo (ridicolo) di € 1,99, vi garantisco che ne vale assolutamente la pena e se vi piace la lettura ed in particolare il genere fantastico, vi consiglio anche di dare un’occhiata agli altri volumi dei Moon Base potreste rimanerne piacevolmente sorpresi. Intanto vi lascio con Alexi Murdoch e il suo All My Days, uno dei pezzi che in qualche modo fanno parte di una possibile colonna sonora di Perfection.
Torniamo a parlare delle produzioni di Daniele Spadoni e dei suoi corti. Ancora una volta Daniele si cimenta con un corto di sei minuti basato su uno degli episodi più “particolari” e cupi de “Le Nuove Avventure di Lupin III” (Rupan Sansei), parlo dell’episodio 46, “Lupin Venduto all’Asta” (“Lupin Otakaku Urimasu” (ルパンお高く売ります) ).
L’episodio della serie anime inizia con un Lupin in mutande che si risveglia nella sala aste di Madame Omicidi per essere venduto a 160.000$ ad Anonimo Veneziano. Il compratore, poi, si rivelerà preso essere un malefico scienziato intenzionato ad utilizzare il cervello del celebre ladro per creare un automa con un’intelligenza superiore. Durante la storia il nostro Arsenico si ritrova in rara difficoltà costretto a vedersela, su un’isola che poi si scopre virtuale, con automi potentissimi e cloni cibernetici dei suoi amici dovendo anche proteggere la sua Margot/Fujiko dalla pazzia del folle scienziato.