rosicarero·si·cà·re/intransitivoregionale e gerg. Rodersi per la rabbia, la gelosia o l’invidia.
Ci sono dei temi da trattare con molta delicatezza perché in questo momento di estrema politically correctness ci vuol poco a scrivere le parole sbagliate; ma io non ho paura delle parole e vi dico, mentre ascolto “Voglio una Donna” di Roberto Vecchioni, che sono fermamente convinto che uomini e donne siano diversi; non con diversi diritti/doveri, non un genere meglio dell’altro ma diversi. Così ci sono delle cose che gli uomini fanno meglio delle donne e viceversa(*). Le donne hanno mediamente un QI più elevato, si laureano più in fretta, è provato abbiano maggiori capacità negli investimenti finanziari, gestiscono meglio lo stress e… sono molto più brave come cassiere dei supermercati.
Sì, gli uomini non sono geneticamente adatti a gestire la cassa di un supermercato, non è che le donne siano migliori in questo senso è che gli uomini sono proprio incapaci. Così una domenica(**), dopo aver riempito il carrello di spesa, non ci badi e te ne accorgi solo dopo un quarto d’ora di fila; alla cassa c’è una cassiera maschio e a quel punto? La scelta è fra cambiare cassa o andare avanti, ma sei già in fila da un quarto d’ora, ormai mancano solo due persone, persisti e sbagli. Sì, sbagli perché dopo un altro quarto d’ora sei ancora lì che la cassiera maschio sta cercando disperatamente il codice del fardello d’acqua e dice di essere frastornato e mentre la gente mugugna, lui va nel panico e tu sei lì che aspetti da mezz’ora e non sai se mollare la spesa e andare via o persistere. Proprio quando ogni speranza è persa, uno spiraglio di luce appare all’orizzonte, una cassiera arriva in soccorso della sua controparte maschile, dopo 5 minuti l’ordine naturale delle cose è ripristinato e dopo dieci minuti sei fuori a scrivere cazzate su un blog lieto di poter sorseggiare l’agognato Martini che avevi nel carrello.
(*) A dire il vero non mi viene in mente nulla che gli uomini facciano meglio delle donne ma non lo diciamo
(**) Sì, questa domenica ho fatto la spesa. No non potevo organizzarmi diversamente, fatevi i cazzi vostri.
(***) La ragazza nella foto si chiama Alessia, qui il suo profilo Instagram
C’è stato un tempo non lontano in cui gli italiani hanno potuto rialzare la testa e il prestigio, a livello internazionale, del paese, era tale che il nostro Presidente del Consiglio finiva immortalato nelle pagine dei comics Marvel, insieme alle grandi personalità del pianeta…
…oggi… oggi, quando vado all’estero, mi tocca, di nuovo, a fingermi spagnolo.
Hola.
L’ultima volta che ho scritto qui è stato un omaggio ad un ricordo, al ricordo di una vecchia compagna di scuola, un’amica che ci ha lasciato quando era ancora troppo presto, che ci ha lasciato in maniera ingiusta anche se quasi mai è giusto. L’ultima volta che ho scritto qui venivo dal funerale di una ragazza bellissima, piena di vita, intelligente, spiritosa. L’ultima volta che ho scritto qui ero stravolto e mai avrei pensato che sarebbe successo di nuovo dopo così poco tempo.
Oggi sono di nuovo qui a rivolgere un pensiero ad un’altra cara amica, una donna meravigliosa che ha perso di più della sua stessa vita: ha perso sua figlia, una ragazzina che lei amava in maniera incondizionata, una ragazza fragile che non ha saputo reggere il peso del confronto con la mediocrità, la mediocrità degli altri.
Ogni volta che ho visto Antonella aveva la testa in un grosso libro, ogni tanto si guardava intorno con i suoi occhi grandi, con aria smarrita e forse un po’ schifata, per poi ritornare alle sue letture; mi piaceva un sacco questo suo vivere in un mondo tutto suo, questo suo modo di essere “superiore”, non pensavo che questa sua fuga interiore fosse il suo modo per sopravvivere in un mondo che non la meritava e che l’aveva esclusa, la mia esperienza mi portava a credere che il suo essere diversa dagli altri l’avrebbe portata a raggiungere la consapevolezza di essere migliore e che questo l’avrebbe resa più forte, non ero preoccupato per lei, più o meno ci ero passato. Mi sono sbagliato, cristo quanto mi sono sbagliato.
Oggi sono di nuovo qui, a piangere da solo dopo essere stato al funerale di una bambina, dopo aver osservato i suoi compagni, dopo aver avvertito il loro nervosismo e la loro superficialità di fronte ad una tragedia che poteva accadere ad ognuno di loro. Niente di nuovo, niente che non avevo già provato, solo la consapevolezza che non sempre un ragazzino è in grado di gestire lo scherno del gruppo, non sempre un ragazzino è in grado di combattere quello che oggi chiamano bullismo ma che è da sempre solo il modo, l’unico, dei mediocri per sentirsi migliori.
Oggi sono di nuovo qui dopo aver abbracciato la madre di una bambina il giorno del suo funerale, dopo aver abbracciato una donna a cui avevo detto di non preoccuparsi, a cui avevo detto che era fortunata ad avere una figlia che ascoltava musica d’autore e leggeva classici, a cui avevo detto queste cose perché ne ero convinto e ne ero convinto perché in parte le avevo vissute ma non mi ero reso conto che il mio punto di vista di oggi non poteva essere lo stesso di quando io stesso ero adolescente; ero convinto che lei alla fine ne sarebbe uscita vincente solo perché era davvero migliore degli altri, senza rendermi conto che la differenza fra la vittoria e la sconfitta, spesso, è talmente sottile che non se ne può vedere la linea di demarcazione. Ne ero convinto perché sono un idiota.
Dicevo l’altro giorno, scherzando(?), che l’avanzare dell’età l’avverti quando davanti alla scuola smetti di guardare le ragazzine per guardare le loro mamme… la realtà è che ti accorgi davvero di non essere più, tu stesso, un ragazzino quando attorno a te la gente comincia a morire.
Quando sei piccolo, a un certo punto, ti lasciano i nonni, te lo aspetti prima o poi, in taluni casi è anche un’ottima scusa per non fare i compiti, ma i genitori… i genitori quelli sono immortali, non pensi mai che un giorno, davvero, potranno andarsene, finché non muoiono e tu rimani lì immobile a guardare e ancora non ti rendi conto di essere solo perché c’è un sacco di gente attorno a te: la tua compagna, i tuoi figli, il lavoro, gli amici, finché una mattina, mentre sei lì che ti sbatti per risolvere l’ennesimo problema creato da qualcun’altro, leggi un messaggio su Whatsapp – Ciao Arcangelo, purtroppo per Rossella non c’è più nulla da fare. Ora è un angelo – e rimani immobile, quasi impietrito a chiederti perché e l’unica parola che ti viene in mente è:-cazzo-. Sì, perché non è stato un incidente a portarti via un’amica, un’incidente fa parte dell’ordine naturale delle cose, ma la malattia è una roba da vecchi e lei era giovane, aveva la mia età, appunto: aveva la mia età. Sapevo che non stava bene anche se non ci si sentiva da un po’, da quando dopo una discussione che non compresi seppi della sua malattia. Non la conoscevo più bene come un tempo, credo che il suo male l’avesse cambiata, credo anche sia normale e comunque non importa; quello che importa veramente è che lei era bella e non meritava di morire e no, non vale per tutti quelli che vanno all’altro mondo, alcuni meritano di crepare e sono ancora vivi.
Non so perché la tua morte mi abbia così colpito vecchia amica mia, in fondo non ci conoscevamo più, forse perché mi hai ricordato, nel modo peggiore possibile, la caducità dell’esistenza o forse solo perché è stata una giornata storta: inutile piangere, si nasce soli e si muore soli… ma anche no.