In uno dei commenti ormai sparsi per la social-sfera al mio articolo su Amazon Go, mi sono sentito dire che ci sarà la “profilazione definitiva”. Ora, ovviamente, questo è un commento tanto corretto quanto stupido. E’ chiaro che l’automazione porti alla profilazione degli utenti e puoi regolamentare la cosa quanto ti pare, alla fine non saprai mai che fine fanno i tuoi dati e le eventuali sanzioni, pesanti quanto vuoi, GDPR o meno, si ripagheranno sempre. Non c’è bisogno di Amazon Go, i nostri dati viaggiano sui social, con gli acquisti online, attraverso le telecamere stradali e di sicurezza e sulle schede fedeltà; ed è proprio di queste ultime che voglio parlare.

La risposta più facile da dare a quel commento idiota era proprio che esistono le schede fedeltà con punti e premi, che in un modo o nell’altro devono essere autorizzate, e che fanno profilazione  da decenni ma proprio mentre pensavo questo mi è balenato alla mente che io, già in base al Dlgs 196/2003 e ancora di più in base al Regolamento Ue 2016/679, il famoso GDPR, ho tutta una serie di diritti da accampare su quei dati, perché dunque non ho la facoltà di accedervi? Pensate a quanto sarebbe comodo avere un pannello di controllo che in base a tutte le spese effettuate faccia dei report statistici personali per categoria merceologica, frequenza di approvvigionamento, scostamenti dai budget. Certo ma se uno fa la spesa in più supermercati, questi dati sarebbero incompleti. Da qui l’idea di obbligare tutti gli store(Di Maio ascoltami questa è materia tua) a comunicare a un ente centrale tutti i dati di tutti gli utenti in tempo reale in modo da dare all’interessato contezza di tutte le informazioni che lo riguardano creando per lui una dashboard che gli fornisca indicazioni su come gestire la propria spesa anche raffrontando i prezzi dello stesso articolo o della stessa tipologia di articolo in diversi periodi e su diversi negozi. Immaginate le possibilità per gli utenti di scegliere e persino di avere un app come Bring che, utilizzando i dati raccolti e messi a disposizione in maniera anonima e in formato open,  data la lista della spesa dell’utente, gli dica in quale supermercato fra quelli in cui va abitualmente a fare la spesa c’è il prezzo più basso di ogni articolo in un determinato momento.

Ma non finisce qui. Immaginate tutti questi dati in pasto all’Istat, con gli opportuni correttivi si avrebbero delle statistiche puntuali dei consumi e questo aiuterebbe anche a fare delle scelte maggiormente mirate in sede di imposizione fiscale e di programmazione economica, i benefici di una cosa simile sarebbero illimitati.

E mentre sogno un futuro in cui l’uomo non abbia paura del progresso, tocca fare i conti con la dura realtà di un Italia in cui sono stati ridotti gli investimenti (europei) per la banda larga per (tentare) di dirottarli per lo sviluppo della piccola impresa, quel modello di business tardo ottocentesco il cui obiettivo è concedere all’imprenditore la possibilità di acquistare l’ultimo SUV.

Nei giorni scorsi ha suscitato clamore, un po’ in tutto il mondo, l’annuncio di Jeff Bezos di aprire, dopo una prima sperimentazione a Chicago e Seattle, in breve tempo, 3000 supermercati Amazon Go.

Cos’è Amazon Go? Per dirla in breve: la panacea di tutti (beh molti) mali. In pratica si tratta di supermercati dove tu entri, avvicini lo smartphone al lettore e cominci a mettere nel carrello ciò che ti serve, imbusti e te ne vai senza fare code alle casse, senza dover avere a che fare con le imbranatissime cassiere maschio, senza dover rivolgere la parola a sconosciuti, senza dover utilizzare astrusi sistemi di lettura dei codici a barre alle affollatissime casse automatiche presidiate dalla solita acidissima e grassa cassiera. Non ci dovremo preoccupare delle povere cassiere che devono lasciare i bimbi a casa alla domenica, penseranno a tutto telecamere e sensori che, in un modo talmente complicato che non riesco nemmeno a immaginarlo completamente, riusciranno a calcolare esattamente cosa abbiamo messo nel carrello e ci addebiteranno tutto su carta di credito mandandoci lo scontrino via mail.

Ovviamente tutto ciò ha messo in allarme i soliti luddisti che: «oh mamma, quel cattivone di Bezos ci farà perdere millemila posti di lavoro». Ora potrei stare qui a spiegare che non è proprio così, che i processi di automazione non hanno fatto altro che aumentare la qualità del lavoro riducendo l’alienazione dei lavoratori e questo a partire dalla rivoluzione industriale, ma nella realtà non mi interessa discutere con i cretini ed è anche vero che gente non qualificata, gente con la terza media presa per corrispondenza, gente che ha anteposto il divertimento alla propria formazione, finirà in mezzo ad una strada, il fatto è che io credo sia giusto così. Quando fai un lavoro a bassa (nulla) specializzazione hai poco da lamentarti se devi lavorare i giorni festivi dal momento che il tuo potere contrattuale è nullo e non ti devi nemmeno stupire se verrai sostituito da una macchina, la prossima volta studia somaro. Chi difende questa visione del lavoro, legata a canoni settecenteschi, attaccando l’automazione dei processi come fosse un nemico del popolo andrebbe impalato in pubblica piazza, perché “amici” miei, che vi piaccia o no, non potrete fermare la giostra, potete solo saltarci sopra se siete ancora in tempo oppure soccombere e diventarne uno degli ingranaggi da sostituire a breve.

Anche la chiusura a Ferragosto genera problemi di aggregazione sociale

Una piccola riflessione sulla crisi dei centri commerciali. 

Da ormai un decennio gli USA stanno vivendo la crisi del modello del Centro Commerciale, il mitico Mall che abbiamo imparato ad amare in tante serie TV degli anni ’80. Le motivazioni sono diverse, principalmente riconducibili alla crisi dei mutui subprime del 2008, fino alla nascita e alla capillare diffusione delle vendite online.
 
Tutto bello, finalmente ritorneremo ad un modello più “sostenibile” che vedrà il ritorno della piccola bottega di quartiere, del negozietto di vicinato? Nemmeno per sogno, le motivazioni che hanno portato alla crisi dei Mall non sono riconducibili nemmeno lontanamente al modello di “decrescita felice” ipotizzato nei primi anni del secolo mentre permangono le motivazioni che negli anni ’60 in USA e più recentemente da noi hanno portato alla nascita dei centri commerciali. La gente non vive più nel centro cittadino, nemmeno nei piccoli borghi. Per diversi motivi, infatti, ci si rifugia  nelle periferie urbane e suburbane, che siano grandi palazzoni o villette a schiera, si tratta di dormitori, non c’è più la piazza centrale, non c’è più spazio per il negozietto o per la piccola bottega, non c’è spazio nemmeno per i pedoni, per quanto, oggi, vadano di moda le piste ciclabili messe in ogni dove “a cazzo di cane”.
 
Il modello del grande Mall, a livello di architettura, nasceva proprio per sopperire a tutto questo. Le persone, infatti, passano il proprio tempo sostanzialmente in tre posti: a lavoro, a casa e nei centri di aggregazione che una volta erano le piazze, i cinema, i teatri, gli oratori che oggi non trovano più posto in un modello urbano che, adeguandosi al nuovo tessuto sociale, ha portato alla nascita di grossi centri di aggregazione sociale  “artificiali” certo, ma assolutamente efficienti e funzionali e dove, incidentalmente, puoi anche fare la spesa.
 
Gioire della chiusura dei centri commerciali, dunque, al di là della problematica economica, non è producente per motivi sociali, perché indietro non si torna, la “decrescita felice” è un po’ come la “La corazzata Kotiomkin” di fantozziana memoria e se togli alla persone i centri di socializzazione succederà esattamente ciò che sta succedendo in USA, ci si chiude in casa a cercare nuovi amici su Whatsapp e a spendere su Amazon.

Di seguito un interessante video che parla proprio di questo

Piccola riflessione sull’amore quasi come una risposta a chi l’amore tiene e chi l’amore sa. Ma facciamo a intenderci che cos’è l’amore?

Sì lo so, lo state pensando anche voi, una prima risposta non può che darcela, beh quasi, il celebre brano  di Vinicio Capossela, quando sul finale, in un certo senso sintetizza:

Che cos’è l’amor?
È quello che rimane
Da spartirsi e litigarsi nel setaccio
Della penultima ora
Sì perché l’amore, in fondo, è quello che rimane quando, tuo malgrado, ti trovi ricacciato nella dannazione degli inferi di un bar, ma tutto sommato non sei ancora alla fine e il più delle volte, già lo sai,  che non sarà l’ultima volta che starai lì a guardare il fondo di un bicchiere. In un certo senso possiamo dire che l’amore è una delle principali cause dell’alcolismo, del resto una scusa per bere uno deve pure avercela, no?
 
Ma proviamo un approccio diverso. Noi qui siamo obnubulati da questo amore come forza pervasiva che è preesistente nell’universo, ma chi ha inventato l’amore? Beh non c’è una risposta facile a questa domanda ma, più o meno, storici e antropologi vedono l’amore romantico, quello che mette in secondo piano l’istinto sessuale, come una caratteristica della cultura occidentale, addirittura si dice che il «culto» dell’amore romantico non si sarebbe sviluppato prima della rivoluzione industriale, quando il passaggio da una cultura rurale ad una industriale, con la nascita del sottoproletariato ha portato alla perdita di importanza dei contratti matrimoniali. Con questi cambiamenti comincia ad assumere invece rilevanza la cultura delle donne che cominciano a rivolgersi al romanzo e ai racconti come fonte del sentimento, non a caso Stendhal ci tiene a farci sapere che «A Parigi l’amore è figlio del romanzo» e ce lo racconta ancora una volta Capossela quando dice
Che cos’è l’amor
Chiedilo alla porta
Alla guardarobiera nera
E al suo romanzo rosa
Che sfoglia senza posa

Ora non ho voglia qui di buttare giù un trattato antropologico sull’amore, anche perché tanti l’hanno fatto meglio di me anzi vi consiglio proprio Antropologia dell’Amore di Dino Burtini

L’amore è una chiave perfetta per cogliere i dati fondamentali di una cultura, perché esso interessa la sfera più profonda della personalità umana. Il lavoro è una descrizione attenta e intrigante dei comportamenti umani relativi alla vasta sfera dei modi di agire, individuali e sociali, legati all’amore (le feste della pubertà, i rituali dell’unione, il corteggiamento, l’adulterio, la sessualità, l’eros), sentimento che coinvolge sempre e inevitabilmente l’intera complessità dell’individuo, dal piano biologico a quello psichico, a quello intellettuale, a quello etico. 

Bene ora che abbiamo visto più o meno che cos’è, proviamo a chiederci a cosa serve l’amore?

In qualche modo ce lo spiegano, ognuno dal suo punto di vista,  Edith Piaf e Theo Sarapo in questo splendido video. 

Ma la conclusione forse è un po’ troppo romantica, diciamo così,  del resto, ammettiamolo, la domanda è stupida. Stupida perché  la risposta non potrà che essere soggettiva e limitata;  ragionare su ciò che viviamo attraverso l’amore infatti è assurdo, l’amore rende tutto idilliaco, meraviglioso, eterno, di un’eternità che generalmente dura poco anche se resta per sempre. Tutto ciò, a meno che non vogliamo trovarne un significato antropologico intriso di cinismo, ma ancora una volta vi rimando alla letteratura.

Dunque quest’amore perché?  Da quello che abbiamo detto fin’ora, tutti, prima o poi, proviamo questo sentimento a volte totalizzante, un sentimento ci fa stare il più delle volte bene, anche quando fa male e ci dona quella superiorità morale che ci fa sentire mezzo metro sopra tutti gli altri, perché non esiste, non è mai esistito, non esisterà mai un amore come il nostro. Quindi la domanda giusta è perché no ma sopratutto perché una volta sola? Ancora una volta ci viene in aiuto Capossela

che cos’è l’amor
è un sasso nella scarpa
che punge il passo lento di bolero
con l’amazzone straniera
stringere per finta
un’estranea cavaliera
è il rito di ogni sera
perso al caldo del pois di san soucì

L’amore è il più gran malinteso fra le persone. Si può amare una donna, un uomo, un sorriso, uno sguardo, un vezzo, una frase detta per sbaglio, quella sensazione di attrazione è così totalizzante che non possiamo farne a meno, al punto che non si è mai appagati, al punto che cercheremo sempre l’amore per tutta la vita, specialmente dopo aver trovato quello eterno.

E allora vi chiederete, e tu? Io sono come tutti gli altri, cerco il filo di un ricamo un accordo in la minore per gridare forte t’amo / se ho degli attimi di rancore cerco te e la tua bocca nei tuoi occhi trovo amore

 

 

In questi giorni Amazon annuncia un nuovo servizio compreso nell’abbonamento Prime; Prime Music che offre la possibilità di ascoltare in streaming e scaricare  fino a 40 ore di musica al mese a scelta fra due milioni di brani.

Il servizio si aggiunge alla consegna gratuita degli acquisti effettuati sulla piattaforma, alla possibilità di caricare nel cloud Amazon un numero illimitato di fotografie, a Prime Video, un vero e proprio canale televisivo on demand in streaming che oltre ad alcune delle migliori serie televisive e a grandi pellicole cinematografiche offre delle grandiose produzioni originali e a Prime Reading che offre l’accesso a un ottimo catalogo di ebook; tutto questo a 35 euro l’anno.

Eppure c’è chi si lamenta perché Amazon è il male, sottopaga i dipendenti, fa chiudere la Grande Distribuzione Organizzata (che fino a ieri era il nemico da abbattere) e non permette la socializzazione ed è su questo che vorrei soffermarmi.

Vuoi mettere andare al negozio a parlare col commesso, andare al supermercato a chiacchierare con la cassiera maschio, toccare la merce (che fastidio quelli che toccano la merce che io potrei comprare, specie l’ortofrutta), provare i vestiti, aprire i cartoni per vedere cosa c’è dentro, chiedere informazioni al tizio sottopagato che ieri vendeva contratti di Linkem e oggi ti spiega come funziona l’aspirapolvere non capendo nulla dell’uno e dell’altro.

E’ vero io sono asociale, oggi ho lavorato molto, non voglio parlare con nessuno, non ne ho la forza e adesso sono qui in terrazza che ascolto Guccini(con Spotify), bevo Martini e Tonica e scribacchio qui e lì. Abito in questa casa dal  2005 e non conosco, nemmeno di nome, alcuno dei  miei vicini, gli amici me li scelgo e spesso vivono troppo lontano per poterli frequentare, i parenti a stento li saluto se casualmente li incrocio per strada, perché dovrei voler parlare con uno sconosciuto in un ipermercato? Perché dovrei avere voglia di interagire con chiunque non provi un’attrazione di qualche tipo? Come? Sì, è vero se non li incontro non potrò mai sapere se c’è feeling, ma è una questione statistica e sono fortunato. Sono fortunato perché oggi esiste Internet.

Su Internet ho incontrato le persone migliori con cui potessi interfacciarmi(*). Alcuni vicini, vicinissimi, altri lontani, lontanissimi, alcuni lì ho incontrati, altri no, non cambia molto in realtà, raramente ne ho sentito la necessità; per molti versi anche mia moglie l’ho conosciuta davvero su internet(**) e ci ho fatto pure un paio di figli…  Internet è quella cosa che oggi mi consente di osservare la stupidità da una posizione privilegiata e mi offre l’incredibile beneficio di non dovermi misurare fisicamente con la mediocrità, almeno non più di quanto la vita renda necessario.

Ben venga, dunque, Amazon se non devo parlare col commesso ritardato e se non devo aspettare tre mesi per prenotare il libro dell’autore sconosciuto da Feltrinelli. Ben venga Netflix se posso scegliere cosa guardare in TV senza dovermi sorbire trasmissione insulse e di dubbio gusto. Ben vengano tutti i servizi online se ci risparmio mediamente il 30%  rispetto ai corrispondenti analogici e onestamente mi interessa poco della cassiera che sciopera perché non vuole lavorare la domenica(***) proprio quando, almeno io, sono più propenso a spendere (e lo faccio su Amazon, Aliexpress, eBay. Wish e compagnia cantante), meno ancora mi interessa della desertificazione dei centri storici e della riduzione di fatturato degli ipermercati. Siete mai entrati in un negozio di abbigliamento con la commessa che cerca di rifilarti qualunque cosa e sembra si offenda se dici che sei lì per guardare? Ecco io con queste persone non ci voglio parlare e aspetto solo che anche gli alimentari si possano facilmente acquistare online e che possibilmente mi vengano consegnati col drone qui, proprio su questa terrazza.

 

(*) no, interfacciarmi non è un termine scelto per caso

(**) quando dico internet, intendo internet non il Web

(***) sarà banale, ma per come la vedo io ogni lavoratore deve essere tutelato e deve essere pagato per il proprio lavoro in maniera equa e proporzionale ma trovo inaccettabili tutte queste recriminazioni nei confronti del lavoro domenicale nel settore del commercio.