“Il mondo è pieno di ambientalisti radical chic e di ambientalisti oltranzisti, ideologici: loro sono peggio della catastrofe climatica verso la quale andiamo sparati” Roberto Cingolani

All’evento organizzato da Italia Viva a Ponte di Legno, ieri, era presente il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani.

Roberto Cingolani

Cingolani fisico e accademico, ex responsabile innovazione tecnologica di Leonardo ed ex direttore dell’IIT di Genova, nel suo intervento riesce a dire cose che nel Bel Paese paiono pura eresia. Intanto afferma che il nucleare non dovrebbe essere considerato un tabù, soprattutto ora che si stanno affacciando tecnologie di quarta generazione e poi che il mondo è pieno di ambientalisti radical chic ed è pieno di ambientalisti oltranzisti ideologici e, sempre sul nucleare, ci dice che se a un certo punto si verifica che i quantitativi di rifiuti radioattivi sono scarsi, la sicurezza elevata e il costo basso è da folli non considerare questa tecnologia e che nell’interesse dei nostri figli è vietato ideologizzare la scienza.

Ora le affermazioni del ministro, a chiunque dotato di un QI a più di due cifre, dovrebbero apparire scontate; quante volte, qui, abbiamo parlato degli ambientalisti della domenica, quelli che l’importante è seguire la corrente senza curarsi degli obiettivi.

Una volta, un paio d’anni fa, ho parlato di trasporto pubblico sostenibile a una di quelle inutili marce del venerdì dedicate al feticcio Greta, spiegavo che la transizione del parco mezzi delle aziende di trasporto, allo stato dell’arte, passa, inevitabilmente, attraverso il gas metano in attesa dell’implementazione di nuove tecnologie legate all’elettrico e all’idrogeno in grado di supportare il servizio di TPL.  Come dice Cingolani: ambientalisti oltranzisti ideologici, studenti fuori corso da quando l’università la frequentavo io (e sono passati molti anni) che non so se prendono il reddito di cittadinanza o già la pensione, mi attaccano come un branco di cani arrabbiati, a botte di stronzate sul global warming, sull’inquinamento del metano, sulla fine del mondo a causa dell’uso del gas naturale, naturalmente lo ho mandati a fare in culo senza troppe spiegazioni, loro e le fonti rinnovabili, ma non è questo il punto.

Alle parole di Cingolani, nemico dell’ambiente e dell’ambientalismo, allo stesso modo dei ripetenti all’università della vita che parlano a vanvera di fine della civiltà, partono gli attacchi di partiti Verdi che lo accusano di fare gli interessi della lobby del petrolio (sì, lo so sono un po’ confusi), della solita Legambiente, anch’essa estremamente confusa sulla questione nucleare, ma sopratutto del M5S e di Conte, sì quella specie di azzeccagarbugli foggiano, che ha convocato Cingolani per chiarire non si sa cosa. Ripeto Conte ha convocato Cingolani, basta per ridere tutto il week end.

La verità, lo sapete, l’ha scritto anche mio figlio nella tesina di terzamedia, nonostante la professoressa di francese non fosse d’accordo, la verità, dicevo è che la transizione ecologica verso le fonti rinnovabili passa inevitabilmente e inesorabilmente dall’energia nucleare, qualunque altra soluzione, oggi non è proponibile se, davvero, l’obiettivo è quello di ridurre le emissioni, ma si sa questi sono problemi che affronteranno i superstiti, l’importante è l’apparenza.

  • 600 g pomodori a pezzettoni
  • 350 g spaghetti
  • 100 g olive nere  snocciolate
  • 100 g acciughe sotto sale
  • 50 g capperi 
  • uno spicchio di aglio
  • un peperoncino rosso
  • olio extravergine d’oliva q.b
  • sale q.b.
  • pepe q.b.

Partiamo dalle alici, laviamole e tritiamole col coltello e passiamo a denocciolare le olive e farle a rondelle Ora tocca ai capperi che vanno sciacquati per ridurre la sapidità

A questo punto, in una padella facciamo soffriggere l’aglio nell’olio extravergine d’oliva e aggiungiamo le alici, i pomodori a pezzettoni, sale e pepe e facciamo cuocere per una decina di minuti aggiungendo olive e capperi.

Intanto facciamo bollire l’acqua in cui metterete a cuocere gli spaghetti. Quando la pasta sarà cotta, abbastanza al dente, la scoliamo e la saltiamo in padella col resto del condimento, facciamo cuocere per un paio di minuti e voilà possiamo impiattare.

Quella sopra è la mia ricetta per gli spaghetti alla puttanesca, per quattro persone. L’origine di questa pietanza si perde nella notte dei tempi, probabilmente nasce, ai primi del novecento, in qualche bordello nello stivale; mi piace credere, tuttavia, alla leggenda che narra di una puttana francese di nome Yvette che dopo aver dato origine a questo piatto con ingredienti di fortuna gli avesse dato il nome “puttanesca“, con estrema ironia, e in onore del suo mestiere.

Nigella Lawson

Resta il fatto che a distanza di oltre un secolo, nel petaloso 2021,  dopo storie di corna, cocaina e un divorzio burrascoso la giunonica (si può ancora dire giunonica?) Nigella Lawson, nota food influencer britannica, famosa per i suoi programmi di cucina sulle tv dell’Impero e per i suoi libri sempre a tema culinario, ha deciso di intraprendere l’ennesima, ridicola, battaglia per i diritti civili rinominando gli “spaghetti alla puttanesca” in “spaghetti alla sciattona”  eliminando dal nome della ricetta il termine slut, per non offendere la sensibilità delle donne, e sostituendolo con “Slattern” perché, ci spiega lei stessa in un tweet, quando la madre non aveva il tempo di spazzolarsi i capelli e preparava la cena usando qualunque cosa avesse in credenza, le diceva di fare slatterning, traducibile come sciatto, disordinato.

Cioè la signora Lawson assecondando il delirio MeToo che continua a imperversare in occidente, ha deciso di cancellare un secolo di cultura gastronomica italiana in nome di un ricordo di sua madre e, sopratutto, per non offendere le donne. 

Chissà cosa ne penserebbe la povera Yvette, che di essere una battona ci aveva fatto un bandiera.

Ma se pensate che siano i sudditi di Sua Maestà ad essere un branco di idioti complessati, sappiate che sono in buona compagnia, Non più tardi di qualche giorno fa, infatti, il Moige, sì ancora lui, il Movimento Italiano Genitori, quello che voleva censurare le tette di Bulma, è riuscito a far cancellare uno stupido spot televisivo dove Lino Banfi, si la macchietta con un accento pugliese farlocco che ha passato gli anni 70 a toccare le meravigliose poppe di Edwige Fenech, sul grande schermo, e che oggi si è trasformato in Nonno Libero nonché ambasciatore Unicef, recitava una delle sue migliori gag esclamando: “porca puttena“. Capite, dopo Instagram e TikTok i bambini di oggi sono influenzati da “porca puttena” di Lino Banfi.

Insomma dalla puttanesca alla puttena, il passo è stato veramente breve.

Un tempo l’Afghanistan si trovava sul percorso della Via della Seta, un reticolo di strade di circa 8.000 km  lungo il quale si sviluppava il commercio fra l’impero romano e quello cinese, un percorso che univa l’Asia meridionale con l’Europa, passando per il Medio Oriente. In particolare la città di Bamiyan ha visto passare e fermarsi, sul suo territorio, diversi popoli e culture; indiani, cinesi, greci, persiani confluirono nella città fra il V e il VI secolo facendone un centro religioso, filosofico e artistico  che tale rimase almeno fino all’invasione islamica del IX secolo.

Uno dei segni più rappresentativi di Bamiyan erano due statue di Buddha, scavate nella roccia fra il VI e il VII secolo e decorate di ori e gioielli.

Le statue hanno resistito nel tempo alle varie conquiste dell’Afghanistan e agli assalti religiosi dei vari conquistatori, hanno resistito fino al 2001, quando i talebani conquistarono il Paese e il clero islamico afgano bandì ogni forma di raffigurazione religiosa, ordinandone la distruzione. Dopo un mese di bombardamenti i due giganteschi Budda di roccia, patrimonio dell’umanità, nonostante la ferma opposizione internazionale, furono così ridotti in briciole. Questo perché eliminare qualunque vestigia di un nemico contribuisce a eliminarne traccia nel cuore di chi potrebbe ribellarsi.

Oggi, come allora, a distanza di vent’anni, non appena sono tornati al potere in Afghanistan, i talebani hanno fatto esplodere la statua di Abdul Azi Mazari, ex leader degli hazara, minoranza sciita afghana, ucciso nel 1995 e considerato eroe per la resistenza, stesso modus operandi e stesso motivo:  eliminare dal cuore degli oppositori ogni briciolo di speranza, cancellare i ricordi.

Quella di colpire le statue non è certo una caratteristica tutta talebana, l’idea di eliminare le tracce del passato dalla storia, per quanto dolorosa questa storia sia, è abbastanza trasversale. Nel 2002 la statua di bronzo di Saddam Hussein, nel centro di Baghdad fu abbattuta da un carro armato americano per essere consegnata alla furia degli iracheni. Nel 2010 invece la città georgiana di Gori rimosse la statua di Stalin per sostituirla con una dedicata ai caduti nella guerra contro la Russia. Sono del 2011, invece, le immagini dei ribelli siriani che appiccano il fuoco alla statua dell’ex presidente Hafez Al Assad nella piazza di Daraa, dopo la rivolta siriana, sorte molto simile ebbe il monumento di Muammar Gheddafi durante la rivoluzione libica, sempre nel 2011.

Certo, ci sono delle volte che ci si lascia anche prendere la mano con questa malsana idea di voler riscrivere la storia.

Nel giugno del 2020, quando il mondo era bloccato a causa della pandemia, migliaia di persone scesero in piazza per dimostrare sostegno al movimento Black lives matter(movimento attivista internazionale impegnato nella lotta contro il razzismo) dopo l’omicidio di George Floyd, un nero di 25 anni, da parte della polizia a Minneapolis, negli Stati Uniti. Durante questa ondata di proteste gli attivisti, come estremo gesto inclusivo, hanno pensato che distruggere il ricordo alcuni personaggi storici non fosse poi una cattiva idea, così con l’obiettivo di sradicare la supremazia bianca, vedremo cadere le statue di Cristoforo Colombo e di altri colonizzatori come Juan de Oñate e Junípero Serra. Ma vedremo anche vandalizzare George Washington, Andrew Jackson, Thomas Jefferson, Ulysses S. Grant e Theodore Roosevelt e rivisiteremo la Guerra di Seccessione rimuovendo le statue del Generale Lee.  Persino in Italia vedremo imbrattare la statua di Montanelli che al di là della sua professione di giornalista era stato comandante durante l’invasione italiana dell’Etiopia, dove aveva anche comprato una bambina di dodici anni.

La parola d’ordine è cancellare per dimenticare, senza contestualizzare o peggio contestualizzando malissimo e spesso funziona; è un modo come un altro per guidare le masse, indottrinare la gente e non importa quale sia il fine, non importa che a farlo siano i cattivi o i buoni, quello che importa è il mezzo ed il mezzo è davvero riprovevole, chiunque sia a pratricarlo.

Dalla fine degli anni ’90, in maniera ininterrotta, quelli che dai nostri salotti occidentali definiamo talebani, di fatto un’organizzazione politica e militare, a ideologia fondamentalista islamica, controlla il territorio dell’Afghanistan.

Certo dopo i fatti tragici dell’11 settembre 2001, a seguito dell’invasione militare statunitense, il disconoscimento da parte degli altri paesi arabi e il congelamento dei beni dell’organizzazione a livello internazionale, il potere politico del regime talebano si è di molto ridimensionato, ma di fatto la loro influenza sulla società afghana non si è mai attenuata. A nulla sono serviti i miliardi di dollari stanziati per “esportare la democrazia”, a nulla sono servite le associazioni umanitarie a vario titolo presenti sul territorio afghano e bisognose di una scorta armate per operare, sono bastati pochi accordi internazionali e la volontà degli USA di spostare i costi su altro genere di appalto militare per tornare esattamente come nel 2001, con in più una nuova spada di Damocle nei territori mediorientali derivante dagli interessi della Cina su quei teritori.

Ma questo non importa, la cosa importante è che adesso, sigh, le donne non potranno più frequentare l’università di Kabul, non potranno indossare bikini e minigonna, adesso non potremo più esportare il nostro linguaggio inclusivo, fatto di asterischi e alfabeto ebraico, insieme a una democrazia che nessuno ha cercato.

La parte divertente della giostra di indignazione che si legge sui social è che la presa di Kabul da parte dei taleban* (hai visto mai qualcuno si offenda) non ha spostato di una virgola le condizioni umanitarie del popolo afgano, costretto a vivere sotto il giogo di un regime la cui oppressione sulla società non è mai venuta meno. Gli americani hanno avuto per vent’anni il controllo di Kabul e del governo fantoccio afgano, ma fuori dalla capitale l’oppressione religiosa, le violenze, gli stupri non si sono mai fermati, ma tanto -lontano dagli occhi, lontano dal cuore-. L’importante è sentirsi, OGGI, parte del club dei buoni indignandosi di fronte ai racconti farlocchi di quello che verrà, sperando che adesso i talebani diventino moderati (ROTFL) e si possa dialogare con loro, salvo poi provare ripovazione di fronte alle immagini dei collaborazionisti (beh dal punto di vista talebano lo sono, eh), ben consci di ciò che gli aspetta, cadere dal carrello di un aereo o lanciare i figli oltre il filo spinato, senza curarsi minimamente del fatto che anche questa è colpa di chi per vent’anni non ha saputo vedere e che oggi ciancia di diritti umani violati dalla guerra, ma quale guerra? Qui non c’è nessuna guerra.

A riprova di tutto ciò un piccolo episodio di questi giorni vede il club dei buoni scagliarsi in forze dal divano, contro una vignetta, l’immagine del post, che in maniera sublime riassume tutto quanto ho sopra; perché, ragazzi miei, fatevene una ragione il problema dei diritti umani è formale e non sostanziale.

Diversi anni fa, prendendo spunto  da La Tuta Spaziale” (Have Space Suit — Will Travel), romanzo per ragazzi scritto nel 1958 da Robert A. Heinlein, scrissi un post sulle tute spaziali e sul loro impatto nell’immaginario collettivo.

Evidentemente non sono l’unico ad essere sempre stato affascinato da questo oggetto, protagonista dell’epopea per la conquista allo spazio, anche Elon Mask, infatti, durante la preparazione della missione Crew Dragon Demo-2, la prima missione privata con astronauti a bordo, partita ieri sera da Cape Canaveral alla volta della ISS, non ha tralasciato il design delle tute spaziali.

L’imprenditore si è rivolto, quindi, a Jose Fernandez, un famoso costumista di Hollywood, che da sempre ha lavorato alla creazione dei costumi per i supereroi realizzando i costumi di Wonder Woman, Wolverine, Captain America, Batman, ed eccoci così catapultati in un film di fantascienza degli anni 50, con delle tute spaziali diverse dai goffi scafandri usati fino ad oggi dalla NASA ma più simili alle armature di HALO 4 con i colori, bianco e grigio scuro, scelti dal nostro Elon Musk in persona.

Ovviamente le nuove tute spaziali non sono solo un grazioso outfit dall’indubbio gusto estetico, ma sono un vero e proprio ritrovato della tecnologia che non ha nulla da invidiare alle ACES (Advanced Crew Escape Suit) della NASA o alle Sokol russe, le tute di SpaceX sono leggere e perfettamente adatte a muoversi all’interno della Dragon e della ISS.  Le connessioni elettroniche e il  supporto vitale sono allocate sulla coscia e si agganciano al casco stampato in 3D, dotato di microfoni, valvole integrate e meccanismi per la retrazione e il bloccaggio della visiera; non ne è noto il costo ma è possibile ipotizzare che per la progettazione ex-novo di un sistema con le stesse caratteristiche di ACES, gli investimenti possano essere dell’ordine del mezzo miliardo di dollari.

Ovviamente, quelle di SpaceX, non sono tute per attività extraveicolari, per quel tipo di attività verranno ancora usate le tute modulari semirigide americane EMU o le Orlan russe.