Una piccola riflessione sul significato del lavoro, prendendo spunto da un post di un sindacalista che ho letto da qualche parte su Facebook e che diceva qualcosa del tipo: non basta che dobbiamo lavorare, dobbiamo pure…
Mio padre, mio nonno, hanno sempre visto il lavoro esclusivamente come fonte di reddito, un modo per mantenere la famiglia, qualcosa da dover fare, un baratto di tempo contro denaro. Mia madre, ancora oggi, rimprovera me e mia sorella chiedendoci chi ce lo fa fare.
Già, chi me lo fa fare?
L’ultimo anno ho lavorato “in presenza” 50-55 ore alla settimana, continuativamente, senza pause, senza cazzeggiare oltre a innumerevoli notti e week end da casa. Perché? Senso di responsabilità? Mah!
Perché qualcuno deve pur fare certe cose? Un po’ sì.
Perché mi piace? Sì. La verità è che mi piace quello che faccio. Mi piace davvero, sono fortunato, faccio, molto spesso, cose che mi piacciono, cose complicate, progetti complessi, cose che non tutti hanno l’occasione di fare, cose che non tutti sono in grado di fare e sì, sono molto, molto bravo.
Se cercassi nel lavoro solo una fonte di reddito, come vorrebbe mia madre, farei tutt’altro o lo farei con molta meno fatica e con risultati (economici) infinitamente maggiori. Oh certo m’incazzo, mi lamento, spesso vorrei cambiare lavoro, ma lo farei per fare esattamente le stesse cose da un’altra parte, probabilmente con gli stessi risultati. Quindi, boh, prendetelo come post di fine anno per dire: oh in fondo mi sento fortunato (però il prossimo anno con più calma)