Questa foto, presa da Reddit mi ha portato ad una serie di riflessioni che mi viene voglia di riassumere, se non altro, per ricordarmene fra un mese.
Siamo al 15 agosto 2021, i talebani riprendono Kabul e il presidente in carica dell’Afghanistan scappa negli Emirati Arabi, dopo che l’America di Biden aveva già voltato le spalle al suo governo fantoccio; quel giorno io facevo una (banale) riflessione sui social circa l’instabilità geopolitica causata dal cambio di assetto nella regione, quando arriva il woke di turno a preoccuparsi della situazione delle donne nel paese nuovamente sottomesso al giogo del patriarcato, evocando stupri e università chiuse alle ragazze velate.
Normalmente una situazione del genere non mi avrebbe scomposto più di tanto, non fosse stato per il fatto che la persona che faceva questo appunto era una che io ritenevo intelligente, certo ideologicamente sensibile alle ingiustizie sociali ma sicuramente ragionevole… beh mi sbagliavo o più semplicemente quasi due anni di pandemia ci hanno cambiati tutti. Resta il fatto che provare a spiegare che stavo semplicemente cercando di “analizzare” l’aspetto politico della questione e, soprattutto, che ricordarsi, solo quel giorno, della situazione delle donne in Afghanistan dopo essersene dimenticati per tutti gli anni precedenti, in cui stupri e oppressioni non si erano mai fermati se non nei quartieri residenziali di Kabul, è stato del tutto inutile se non controproducente. Devo ammettere di esserci rimasto male, se non altro per l’errore di valutazione personale, ma pazienza, sbagliando si impara.
Perché mi è tornata in mente questa storia? Qui il woke in servizio attivo decide di danneggiare la segnaletica stradale per impartirci lezioni di femminismo d’accatto, non agendo in prima persona in maniera costruttiva, non attraverso una riflessione profonda e contestualizzata ma colpendo un bersaglio facile con un fucile a pallettoni, mettendo così in secondo piano il messaggio centrale e spostando il dibattito sull’indignazione dei pro e contro Montanelli.
Italian journalist and writer Indro Montanelli (1909 – 2001) at home, Milan, 2nd June 1997. (Photo by Leonardo Cendamo/Getty Images)
Il tema della rivisitazione delle grandi figure del passato parte con l’omicidio di George Floyd in USA e con una riflessione (per quanto decontestualizzata) su personaggi come Winston Churchill, Cristoforo Colombo, Gandhi , Gladstone che non si pone tanto in termini di pro e contro al personaggio ma sull’opportunità o meno di ricordarne alcune gesta, deplorevoli in un’ottica moderna. In Italia tutto ciò invece diventa uno scontro politico fra fazioni che, come il mio amico del Club dei Buoni, perdono completamente il focus del discorso per concentrarsi sul dettaglio e, in questo senso, il caso di Indro Montanelli che da mediocre se pure osannato giornalista diventa pedofilo e stupratore, è emblematico.
Durante un’intervista del 1969 a Enzo Biagi, Montanelli racconta che durante il suo servizio nelle guerre coloniali avrebbe comprato per 500 lire una ragazzina di 12 anni eritrea, insieme a un cavallo e un fucile per farne una sorta di sposa schiava. Nel secondo decennio del ventunesimo secolo questa storia, degna di un romanzo condensato su Selezione del Reader’s Digest, ha alimentato lo scontro ideologico non sul femminismo, non sul colonialismo, non sullo sfruttamento e nemmeno sullo stupro, ma su Montanelli: il mostro. Fiumi e fiumi di parole sono state scritte, vent’anni dopo la sua morte, su una cazzata raccontata 40 anni prima da Indro Montanelli, tutto ciò senza nemmeno riuscire ad alimentare un dibattito reale nel merito ma in uno scontro ideologico fra il partito del dagli al mostro e fra i fautori del contesto storico (privo di morale?).
Se non considerassi Montanelli un giornalista meno che mediocre, per quanto dotato di una penna sopraffina, lo considererei uno dei più grandi troll della storia. Tutta la faccenda di Destà o Fatima o come diavolo l’ha chiamata di volta in volta, infatti, è una balla evidente, certo non colossale come l’intervista ad Hitler, la condanna a morte dei tedeschi, l’incontro con Francisco Franco, la sua presenza a Piazzale Loreto, le invenzioni su Pinelli, ma una delle tante fesserie raccontate da un uomo con una forte propensione, diciamo così, alle esagerazioni giornalistiche finanche immotivate. Se almeno quella immaginaria bambina eritrea diventasse simbolica e servisse a fare una riflessione sulle bambine afghane, OGGI, trattate esattamente come raccontava Montanelli quarant’anni fa, in merito ad una faccenda di quasi sessant’anni prima, tutto ciò avrebbe un senso; invece no, a noi piace l’indignazione a tempo, sempre pronti ad un nuovo scontro fintamente ideologico e delle donne afghane ci ricorderemo alla prossima invasione.