Oggi si parla di Sons of Anarchy una serie trasmessa in USA da FX e creata e prodotta da Kurt Sutter, il papà di The Shield, che fra le altre cose compare come personaggio ricorrente della serie interpretando Otto Delaney, un personaggio secondario le cui azioni condizioneranno gran parte dello svolgimento della trama. Il telefilm del 2008 si svolge in sette stagioni (attualmente è stata prodotta la settima e doppiata in italiano la quinta) ed è ambientato nella California del Sud, nella città (immaginaria) di Charming.
Sons of Anarchy narra le vicende di una banda di fuorilegge organizzata come un club di motociclisti che scorrazza nel sud della California e, detto così, effettivamente, è difficile comprendere il successo di una serie per la quale, invece, dopo averne gustato cinque stagioni, il migliore aggettivo che mi viene in mente è epico.
L’intera serie è un susseguirsi di gesta eroiche, spesso criminali ma quasi leggendarie. Non c’è spazio per la mediazione, Sutter non ha paura di far soffrire e persino di uccidere i suoi protagonisti ma non per il gusto del colpo di teatro, come un Martin qualsiasi col suo ridicolo polpettone fantasy, ma perché la vita dei fuorilegge è dura e spietata, perché i suoi personaggi sono crudeli e feroci. Per quanto lo vorrebbero, per quanto Jax Teller cerchi di perseguire la strada tracciata dal padre per riportare il club nella legalità con lo spirito anarchico delle origini, i Sons hanno travalicato quella linea sottile che separa il bene dal male e non c’è più modo di tornare indietro, non c’è più posto per loro nella società. Tutto quello che gli rimane è il club, tutto il resto non conta, l’unico modo che i SAMCRO(Sons of Anarchy Motorcycle Club, Redwood Original) hanno per sopravvivere, per non essere spazzati via uccisi uno ad uno o rinchiusi in un carcere di massima sicurezza è il sangue, l’angelo della morte , è quello di scegliere una strada che implacabilmente li condurrà a travalicare persino i limiti dell’umanità.
I protagonisti della serie sembrano scolpiti nella roccia e seguono un’evoluzione che va di pari passo con i propri problemi personali, così vedremo Jax che da bamboccione viziato vice-presidente(prince) di un club di motociclisti sarà, suo malgrado, costretto, novello Macbeth, a salire sullo scranno del re deposto quale legittimo successore (come figlio del suo fondatore ucciso dal vecchio re) di un trono da sempre agognato; una poltrona a capotavolo che lo porterà a prendere decisioni difficili, a crescere e a rendersi conto che suo padre aveva ragione quando scriveva, nei suoi diari, che la corruzione dei principi del club avrebbe distrutto i Sons e che era ormai troppo tardi per tornare indietro. A differenza di John Teller, Jax, però, non fugge vigliaccamente via in Irlanda, anche perché, proprio la morte di suo padre per mano del suo patrigno gli ha insegnato che non c’è modo di nascondersi di fronte alle proprie responsabilità e che l’unica speranza di redenzione passa per la strada del sangue. Jackson Teller sale in sella alla sua moto e decide di andare fino in fondo seguendo, dunque, la strada che il destino gli ha messo di fronte sacrificando la sua vita e la sua famiglia per fare quello che deve essere fatto rincorrendo un futuro felice che sa benissimo essere una chimera.
Sons of Anarchy, dopo una prima stagione un po’ lenta che serve a delineare bene i personaggi diventa un susseguirsi di azione, trame, indizi intrecciati fra loro; non c’è un attimo di respiro per i protagonisti che non fanno in tempo a risolvere un problema che se ne vedono piombare altri due; nei docidici-tredici episodi a stagione non c’è spazio per i riempitivi le alleanze fra i club, gli intrighi di Gemma, i rapporti con l’IRA, con il Cartello di Galindo, con i messicani, gli interventi del FBI e della CIA si susseguono in un ritmo forsennato lasciando senza fiato lo spettatore che arriva alla fine dell’episodio, generalmente autococlusivo, con gli occhi sbarrati e il desiderio di vedere cosa succederà poi.
Non è possibile parlare di Sons of Anarchy senza accennare alla performance di Ron Perlman che interpreta Clay Morrow, padre adottivo di Jax dopo averne ucciso il padre John e sposato la madre Gemma. Clay è spietato e Ron Perlman lo interpreta magistralmente imprimendo nel personaggio la giusta dose di sarcasmo e caratterizzandolo in maniera superba. Grandiosa anche la performance di Katey Sagal che interpreta Gemma Teller Morrow, la madre di Jax, sempre presa fra intrighi, alleanze e doppi giochi, e che ha ricevuto anche un Golden Globe per l’interpretazione della mama del club. L’unica nota negativa per la serie va a Maggie Siff che interpreta la dottoressa Tara Knowles, moglie di Jax, e che avrebbe dovuto rappresentare l’elemento glamour del telefilm ma che invece interpreta solo una scialba piagnona del tutto inutile per l’economia delle storie.
Concludo dicendo che Sons of Anarchy nonostante un’accoglienza tiepida, sopratutto all’esordio, e una scarsa presa nell’immaginario collettivo dovuta soprattutto all’assenza di elementi glamour è probabilmente una delle migliori serie degli ultimi anni e vi lascio quindi con il trailer della settima ed ultima stagione che andrà il onda dal 9 settembre
Epico. Non sto nella pelle. Solo tre giorni
grandioso