Facciamo prima di tutto una breve considerazione partendo dalle dichiarazioni di Elon Musk che ci trolla su Twitter a proposito della denatalità in Italia. La sua sarà anche una provocazione(riuscitissima) ma andando a vedere la piramide della popolazione si scopre che la fascia fra 65 e 69 (quelli che vanno in pensione) è del 2,8% mentre la fascia di quelli che dovrebbero cominciare ad entrare nel mondo del lavoro, fra 20 e 24 anni, è del 2,4%. Significa che vanno in quiescenza più di quelli che potrebbero cominciare a lavorare mentre i pensionati hanno bisogno di continuare a usufruire di beni e servizi e lo faranno mediamente fino a di 84 anni. Questo è uno dei motivi per cui, forse non c’è più tutta questa fila dietro la porta degli imprenditori e se ci aggiungiamo un inefficiente incontro fra la domanda e l’offerta, una grossa fetta di lavoratori in nero per convenienza, diverse competenze che preferiscono emigrare all’estero per i salari bassi, gli immigrati per nulla specializzati e il voluto fallimento della globalizzazione, che rende più difficile delocalizzare, ecco che i nostri scarsamente lungimiranti imprenditori si ritrovano in brache di tela.
Qualcuno pensa che la soluzione del problema sia aumentare i salari, mi dispiace deludervi ma ciò, semplicemente è inattuabile, certo possiamo introdurre il salario minimo e certamente lo faremo, ormai è una moda, e sarà una catastrofe. In Germania si aumenta il salario minimo a 12 euro, da 9,60 del 2021, per rimanere in linea con la crescita media delle retribuzioni, in Italia la crescita salariale è ferma da anni e il valore reali degli stipendi, oggi, è più basso rispetto 1990 e per un preciso motivo: la competitività.
L’imprenditoria italiana è fatta di piccole e medie imprese e questo è sempre stato un problema. Al di là dell’aspetto romantico della botteguccia artigiana nei vicoli di Firenze o al mito della fabbrichetta nel varesotto, la PMI italiana non ha la capacità economica, tecnologica e culturale di investire in innovazione, l’orizzonte più lontano dell’imprenditore italiano è il Cayenne S Turbo; le PMI italiane, dunque, non riescono ad essere competitive in termini di rapporto qualità/costi. Un tempo per risolvere il problema si svalutava la Lira, si faceva debito pubblico e si andava avanti; oggi rimane quasi solo una sola leva: comprimere il costo del lavoro.
In questa situazione davvero, volete imporre il salario minimo? Siete folli!
Certo si può anche introdurlo e forse qualcuno sarà anche spinto ad accettare un lavoro comunque sottopagato, rispetto ad una forma qualunque di bonus assistenziale, ma in breve tempo, il salario minimo diventerà poco più basso del salario medio, segnando definitivamente la fine della middle class e creando definitivamente, in Italia, un’economia di sussistenza.
La colpa è del reddito di cittadinanza?
No, il reddito di cittadinanza non è la causa, è solo parte del problema. Se il RdC assolvesse al suo compito di fornire un reddito di sussistenza a coloro che non possono essere più produttivi, temporaneamente o indefinitamente, non sarebbe un gran danno ma quello che si è riusciti a creare (e si sapeva) non è altro che un sistema di integrazione del reddito da lavoro nero. Perché dovrei accettare uno stipendio da 1.500 euro lordi quando a te, imprenditore, conviene darmene 700 in nero, che io andrò ad integrare con i miei 500 euro di reddito di cittadinanza, e vissero tutti felici e contenti? E da qui nasce la Great Resignation all’amatriciana, le Grandi Dimissioni.
Branchi di giovani fancazzisti laureati in corsi di studi sempre più semplici e inutilmente specialistici, con meno competenze della neoassunta segretaria 22enne bionda e rifatta (amo gli stereotipi), non trovano, giustamente, lavoro da nessuna parte ed emigrano nella parte produttiva del Paese dove si ritrovano impiegati come muratori del terziario e del terziario avanzato (programmatori, scribacchini di procedure di sicurezza, consulenti tributari, analisti di bilancio, cose così) guadagnando 1500 euro al mese e spendendone 500 di affitto, vivendo in tre più due cani in un bilocale e cibandosi di scatolette di LIDL (meno costose di quelle Cesar che danno ai pelosetti).
Siamo alla fine del XX secolo: il mondo intero è sconvolto dalle esplosioni atomiche… ehm non ancora, dicevo siamo nel 2020 e il mondo intero e sconvolto da una pandemia di un virus sconosciuto e proprio quando i nostri giovani fancazzisti pensavano di essersi finalmente realizzati, in una vita fatta di coinquilini e rapporti occasionali, (voluti eh, cosa pensate), bullandosi, al ritorno a casa in vacanza, con gli amici rimasti a zappare la terra, BOOM: da domani sei in smart working.
Ah lo smart working, che bellezza…. ad un certo punto il nostro giovane fancazzista si accorge che il suo lavoro è diventato fare una call al giorno dalla spiaggia fra un TicTok e una timbratura virtuale, mentre gli accreditano lo stipendio sul conto corrente. Ma anche le pandemie finiscono e nemmeno il tempo di sponzarsi nelle cristalline acque di Gallipoli ecco che ti arriva il 2021 e: insomma, ragazzi sarebbe ora di tornare in presenza almeno due giorni a settimana.
Cooosaaaa? E rinunciare alle lasagne al forno della nonna, al mare, al sole, ai TikTok?!? No no, great resignation, io nel bilocale con la puzza di cani bagnati non ci torno, me ne sto nella cameretta con mamma che fra un lavoretto e l’altro alla fine metto pure qualcosa da parte, poi c’ho l’amico di zio Nicola, quello lì, Pierpaolo, quello che c’ha il CAF che ha detto a papà che fa risultare che abito alla casa al mare e mi arriva pure il reddito di cittadinanza, no no, io a Bergamo ci torno minga neh.
Ed eccoci qui, nel 2022, a parlare di quanto sia poetico rinunciare al lavoro per ritrovare la gioia delle piccole cose, dell’efficienza dello smart working e di quanto sia green ridurre gli spostamenti, di quanto sia meraviglioso non dover fare due ore di treno fra andata e ritorno per andare a lavoro, tutto ciò mentre Elon Musk vi fa sapere che da Tesla i manager dovranno fare almeno 40 ore in presenza, almeno e comunque sono pronti 10.000 licenziamenti perché in fondo c’è una guerra da qualche parte sul pianeta… c’è sempre una guerra da qualche parte sul pianeta.