La settimana scorsa ho “incontrato” Francesco Guccini dopo, forse, vent’anni dall’ultima volta che eravamo nella stessa stanza, il contesto purtroppo non è stato dei migliori; il maestro presenziava all’inaugurazione di un giardino a Melpignano, un paesino del leccese; cosa ci facesse lì, realmente, Guccini rimarrà un mistero profondo, resta il fatto che nonostante il sindaco del paesello si beasse del recupero di uno storico giardino all’interno di un palazzo del 1600, nella piazza c’erano un migliaio di persone accorse solo per vedere Guccini e del tutto disinteressate all'”evento”.

Ne parlo solo ora perché solo adesso ho avuto modo di metabolizzare quella serata.

Francesco Guccini mi ha accompagnato per quasi tutta la vita, i suoi pezzi sono stati la colonna sonora di tante notti insonni per un motivo o per un altro, ogni sua canzone è legata ad un momento, ad un ricordo. Vederlo anziano, malato, stanco non mi ha fatto bene, ma che non fosse privo di acciacchi lo sapevo già. Devo dire che il suo intervento è stato anche estremamente lucido e alquanto paraculo, quindi chapeau; anzi sentiamolo un po’:

Io, in realtà, ero lì perché avrei voluto parlarci e stringergli la mano, avrebbe potuto essere l’ultima occasione, però alla fine ho lasciato perdere, non perché fosse impossibile, difficoltoso magari ma non impossibile ma perché; boh perché ho avuto una sgradevole impressione.

Guccini sembrava morto, una sorta di fantoccio messo lì come una reliqua, inerte per i selfie degli astanti, una sorta di zimbello fuori dal tempo estraneo all’ambiente che lo circondava, “costretto” ad elogiare delle orride danze popolari all’interno del giardino, quasi immobile e del tutto spaesato. Mi ha fatto una tristezza infinita, ma a ben pensarci non era lui ad essere fuori luogo era il circo che gli hanno costruito tutt’intorno ad essere anni luce distante da lui e credo che questo ormai sia per lui una costante di vita.

Unica nota di colore: chiacchierando con un amico sul perché Guccini fosse lì dico:-bah, perché no, gli hanno pagato una vacanza in Puglia, per qualche ora di pagliacciate- e vengo assalito da una anziana fan modenese scatenata che mi parte con una filippica sulle doti dell’integerrimo maestro, roba che nemmeno a un concerto dei Duran Duran degli anni ’80. Ora, a prescindere dal fatto che la megera della vita di Guccini non ha capito un cazzo mi è sorto un dubbio ancora più amletico: cosa diavolo ci faceva ‘na bréda v’sciassa (cit.) modenese nella torrida provincia di Lecce?

C’è da dire che, magari non fisicamente, Guccini è invecchiato con dignità, non è una cosa facile, e se ha deciso di smettere di suonare nel momento che si è reso conto di non aver più nulla da dar, per il resto, continua a fare quello che gli pare, anche farsi trovare in un paesino sperduto del Salento.

A questo questo punto non mi resta che lasciarvi con questo pezzo: quello che ho ascoltato la notte che morì mio padre.

Dopo l’ennesimo fallimento dell’Governo del Cambiamento, nella persona del Ministro del Lavoro, praticamente un’antimonìa vivente, circa il riconoscimento di uno straccio di tutela ai così detti riders; questi ultimi cercano di rivendicare i propri diritti e per farlo usano quello che hanno, praticamente niente.

Ma partiamo dall’inizio, cosa sono i riders? Un tempo c’era il fattorino della pizza, il ragazzo della pizzeria che te la portava a casa ancora calda; nell’era degli smartphone e della connessione globale, vuoi che non ci sia una multinazionale pronta a vederci l’occasione di strutturare il servizio rendendolo più economico per esercente e cliente finale, naturalmente lucrandoci sopra a spese del lavoratore? Nascono così Just Eat, Foodora, Deliveroo e tante altre società, più o meno grandi, più o meno specializzate che usano ragazzi in bici e in scooter per consegnare le pizze, il sushi, il cibo cinese, le medicine, la spesa del supermercato, direttamente a casa nostra e pagando i fattorini un po’ meno che una miseria.

Tutto bene? Insomma, tutto ciò andrebbe bene se i lavoratori in questione fossero ragazzini che arrotondano la paghetta per pagarsi lo spritz il venerdì sera, ma siamo in Italia e quello che nasce come un lavoro ultraprecario comincia ad essere svolto da padri di famiglia che come titolo di studio hanno, forse, il patentino per il motorino; gente che comincia a rivendicare (anche giustamente dal loro ristretto punto di vista) diritti da CCNL a tempo indeterminato, ottenendo in ciò anche l’attenzione della politica, sempre pronta a dispensare promesse elettorali ma che dovrebbe ben sapere di non poter cavare un ragno dal buco da una situazione figlia del libero mercato. I riders, delusi, danno il via, così, a diverse iniziative di protesta fino a rendere noti i nomi dei vip che non gli lasciano la mancia, accompagnando tali pubblicazioni da frasi quasi intimidatorie (sappiamo dove vivete, cosa mangiate…) e a minacciare improbabili scioperi il 1 maggio, passando così immediatamente dalla parte del torto (come se già non lo fossero abbastanza).

In tutto questo io però una cosa vorrei farla notare, al di là della intrinseca stupidità del gesto di fare i nomi di chi non ti offre la mancia, è proprio quella di usare la mancata mancia come simbolo di una rivendicazione sindacale una gigantesca, sesquipedale, cazzata. La mancia (obbligatoria) è uno strumento istituzionalizzato in USA per consentire al lavoratore di pagare meno i dipendenti, il cui salario deriva per oltre il 50% da tali regalie ed è una forma di meritocrazia in salsa ultracapitalistica per premiare a costo zero quelli che ti fanno guadagnare di più, in pratica i riders italiani più che rivendicare un diritto stanno difendendo i loro aguzzini; beh penso che, a questo punto, dovrò proprio evitare di dare la mancia al fattorino, lo faccio per lui.

Il tema della sostenibilità, associato alla mobilità e all’ambiente, ormai è una sorta di moda che non solo non contempla tutte le misure non direttamente collegate alla mobilità (che pure impattano pesantemente sul nostro ecosistema) ma che si riduce a pochi temi da perseguire a tutti i costi con i paraocchi e senza la minima ragionevolezza.

Vedi il discorso auto elettriche, dobbiamo eliminare i motori a scoppio costi quel che costi, non importa che i motori elettrici in automotive siano ancora inefficienti e costosissimi, che spostino solo la fonte delle emissioni, che siano INsostenibili dal punto di vista energetico, che emettano più o meno la stessa quantità di CO2 di un’auto moderna (in molti casi di più), le macchinine a pile sono green, lo dicono tutti (quelli che ce l’hanno(*)) dobbiamo fidarci. Sono talmente green che hanno appena inserito un provvedimento nella legge di Bilancio che oltre ad incentivarle consentono a questi aggeggi (e peggio ancora alle auto ibride) di girare nelle ZTL cittadine. Non ci credere? Guardate qui:

Altro tema caro quelli della mobilità sostenibile nel salotto di casa sono le piste ciclabili. Non salgono su una bici da quando avevano otto anni ma devono riempire le città di piste ciclabili con tanto di cordoli, rialzi, barriere, semafori, cartelli, sensi unici e altri amenicoli.

Sia chiaro io non ce l’ho con la mobilità ciclistica (purché non elettricamente assistita), io ce l’ho proprio con le piste ciclabili (per cui negli anni sono state stanziate vagonate di milioni di euro) e che in un mondo normale sarebbero INsostenibili dal momento che non solo impattano pesantemente sul territorio ma sopratutto perché, anziché incentivare l’utilizzo della bicicletta, la ghettizzano ai margini di una ipotesi di mobilità fatta sempre più da mezzi privati (basta che non siano a nafta).

Torniamo per un attimo al discorso della sostenibilità delle misure legislative. Ogni decisione che si prende, ogni legge che viene varata, ogni scelta può essere più o meno sostenibile da un punto di vista economico, sociale, culturale, ambientale. Dato che a noi oggi interessa parlare di ambiente chiediamoci perché in Italia 89 famiglie su 100 possiedono almeno un auto, siamo al primo posto nel mondo seguiti dagli Stati Uniti con 88 famiglie su 100, sì questa volta siamo prima degli enoooormi Stati Uniti. La risposta è nelle misure che sono state intraprese a livello nazionale e locale che hanno prima portato ad allontanare le zone residenziali dalle zone produttive, realizzando enormi agglomerati suburbani senza prevedere nel contempo adeguate infrastrutture di trasporto pubblico locale, e successivamente ad allontanare anche le strutture commerciali rendendo quindi il mezzo privato l’UNICA soluzione praticabile. Ma il punto non è tanto relativo agli errori del passato ma alle scelte del futuro, perché l’obiettivo di questi fautori della mobilità sostenibile alla matriciana non è affatto quella di prevedere nel medio e nel lungo termine (come si sta facendo nel resto del mondo) un ritorno a uno stile di vita moderno(**) ma (appunto) sostenibile che riduca quelle 89 auto prima a 85, poi a 80 e giù fino magari a 50, ma di sostituire quelle 89 vetture per famiglia con altrettante macchinine a pile così siamo tutti contenti e potremo respirare aria pulita mentre continuiamo a scansare le auto parcheggiate in doppia fila o sui marciapiedi, facendo lo slalom fra una pista ciclabile e l’altra piene di veicoli a pedalata assistita che sfilano a 40Km/h.

La soluzione? Relativamente a misure legate direttamente alla mobilità: zero incentivi per l’acquisto di automobili private di qualunque tipo, incentivi per l’acquisto di biciclette(non elettricamente assistite) e città progressivamente da inibire al traffico veicolare privato(con varie misure che vanno dall’eliminazione dei parcheggi, alla creazione di zone 10, fino a veri e propri blocchi del traffico) con un progressivo potenziamento del servizio pubblico di superficie e non. In pratica, dovete convincermi a vendere l’auto perché per me è diventata solo un costo. Dovete restituirmi la città, trasformarla in un posto dove anche i bambini possano muoversi a piedi e in bicicletta senza il timore di essere investiti, dovete consentirmi di girare in bicicletta senza essere relegato alle piste ciclabili nemmeno fossi in un circuito Polistil (pure quello elettrico, ora che ci penso).

Ma le misure da intraprendere sono solo parzialmente legate alla mobilità. E’ necessario fare in modo che si possa vivere senza automobile e se questo da un lato significa potenziare il trasporto pubblico, dall’altro significa anche rendermi libero dagli spostamenti non necessari e se magari devo prendere per forza i mezzi per andare a lavorare, forse potrei fare la spesa sotto casa e se proprio il negozio di vicinato è anacronistico (come credo), demonizzare le vendite online e i sistemi di logistica con corrieri/riders che mi consegnano la merce direttamente a casa, ormai quasi in tempo reale, non va sicuramente nella direzione giusta (ma questo è un altro discorso)

Purtroppo le scelte in tema ambientale sono costose sia da un punto di vista economico che da un punto di vista socio-culturale. Richiedono sacrifici, reale cambiamento e un sacco di soldi, molto più di quanto il vecchio governo abbia stanziato per le piste ciclabili e di quanto questo (forse) stanzierà per farci comprare le macchinine a pile ma la cosa peggiore è che nessuno sembra capire realmente il nocciolo del problema e che tutti, in ogni schieramento, si limitino a seguire la moda del momento spesso imposta con abili strategie di marketing.

(*) del resto se uno ha speso 40.000 euro per un’auto con un’autonomia di 250km, una velocità massima di 130Km/h e che richiede più di un’ora per una mezza carica “rapida”, in qualche modo deve pur fare per tentare di autoconvincersi di non essere un perfetto imbecille.

(**) no, nessuno (o quasi) vuole tornare alle incisioni rupestri