Nella bozza di riforma della Pubblica Amministrazione, del Ministro Marianna Madia, spunta fuori un emendamento che tende al «superamento del mero voto minimo di laurea quale requisito per l’accesso» e alla «possibilità di valutarlo in rapporto ai fattori inerenti all’istituzione che lo ha assegnato»
In parole povere oggi, in caso di concorso pubblico, la mia laurea in Informatica, presa all’Università degli Studi di Bari, vale quanto quella conseguita alla Normale di Pisa o come quella conseguita seguendo i corsi online e facendo gli esami al 3×2 di una qualunque università telematica.
Rispetto a quando mi sono laureato, poi, si è passati da un modello universitario finanziato quasi interamente dallo Stato ad un modello finanziato in buona parte dalle tasse di iscrizione (che si sono decuplicate), cosa che ha portato gli Atenei a cambiare del tutto il modello di offerta formativa e a cercare di attrarre gli studenti con la promessa di percorsi brevi e semplificati e voti più alti. Per fare un esempio, ma non credo che le altre facoltà se la passino meglio, il mio corso di studi è passato da 18 esami e 4 anni con una media di 7 anni per essere completato a 35 esami e 5 anni con una media di 6 anni per il pezzo di carta; più laboratori, esami semplificati, teoria ridotta all’osso: l’informatica si è trasformata da una scienza ad una serie di giochini col PC per hipster smanettoni in vena di aprire una startup.
Quello che vuol fare la Madia è semplicemente stabilire che prendere 110 e Lode facendoti il culo davanti ai libri, per la Pubblica Amministrazione, non è la stessa cosa che prendere 110 e Lode inventando giochini su Facebook mentre pensi a mettere su un crowdfunding per realizzare un pc indossabile basato su Arduino e alimentato a banane, da vendere a 15$ agli abitanti dell’Africa sub-sahariana. (Ora non rubatemi l’idea)
Secondo il sacro principio del valore legale del titolo di studio, dunque, la Pubblica Amministrazione deve continuare a caricarsi di incompetenti raccomandati perché altrimenti l’Università ingaggia una guerra senza tregua con il governo.
Ah, certo poi ci sono quelli che «se io ho solo i soldi che mi permettono solo di andare in una università mediocre non è giusto che debba essere penalizzato rispetto al figlio di papà», nessuno pensa che, magari, con questo tipo di riforma le università torneranno ad essere più selettive per tentare di essere maggiormente competitive ed attrarre più studenti e che ci possa essere persino una qualche ripercussione sulla qualità media dell’istruzione universitaria italiana.
Niente da fare, ogni volta che in questo paese si tocca la scuola o l’università ci sono solo levate di scudi, mai una proposta concreta, mai un dibattito serio, solo NO a prescindere, chissà perché…