Mi rendo conto che è una coincidenza ma è una coincidenza davvero terribile: la foto sopra è stata scattata alle 19:44 di ieri e io non è che passo normalmente le giornate a fotografare la Luna; mi fa un po’ impressione pensare che mentre guardavo il cielo e nella testa suonavano le note di questa canzone in un ospedale di Columbus, nell’Ohio, stava morendo Neil Armstrong.

Io, purtroppo, non ho avuto la fortuna di assistere allo sbarco sulla Luna, l’ultima missione dell’Apollo fu alla fine del 1972 e io sono nato nel 1973 ma la mia vita e quella della mia generazione è stata pesantemente condizionata da quella prima impronta di Neil Armstrong nella sabbia lunare, da quei primi passi nella ridotta gravità del nostro satellite, da quelle sfida che  ancora una volta, forse per l’ultima volta, ha visto l’uomo andare oltre i suoi limiti per attraversare di nuovo le Colonne d’Ercole dimostrando a se stesso e alle generazioni future che tutto è possibile.

La morte di Neil Armstrong mi ha davvero rattristato non solo perché se n’è andato un uomo buono e un eroe del nostro tempo ma perché la sua scomparsa è come un’ulteriore picconata al primato dell’uomo sull’uomo e diventa per me quasi un simbolo di questa fase dell’umanità che ha in mente solo la crisi, il differenziale dello spread e l’iPhone 5.

Addio Neil.

P.S. Se qualcuno vuole commentare questo post facendomi partecipe della propria personale teoria del complotto sul falso sbarco lunare del 1969, badi bene a nascondersi dietro un proxy, meglio se anonimo

Continuo sulla scia dei post culinari per segnalarvi un posto dove andare a mangiare.  Devo ammettere che scrivendo in italiano, effettivamente, il ristorante che citerò non è proprio dietro l’angolo per la maggior parte dei miei 15 lettori, il locale, infatti, si chiama Chez Hamadi e si trova a Parigi, nel Quartiere Latino, in una piccola traversa di Boulevard St. Germain, esattamente al 12 di rue Boutebrie. Io ci sono capitato quasi per caso e come molte volte accade la casualità mi ha riservato delle ottime sorprese.

Chez Hamadi è un ristorante tunisino gestito da Hamadi, appunto, un signore sulla settantina, con un atteggiamento abbastanza diffidente nei confronti dei turisti e, tuttavia, assolutamente cordiale. Il locale è piccolo, angusto, tutt’altro che alla moda ed è frequentato quasi esclusivamente da tunisini, come tunisino è l’unico cameriere.

Il motivo per cui ci scrivo questo post è per dire che qui ho mangiato il miglior cous cous della mia vita e ho speso una cifra veramente ridicola per la cena completa, intorno ai 15 euro compreso antipasto, dessert e vino rosso. Se vi trovate dunque a Parigi, dalle parti di Notre Dame e amate la cucina etnica questo è il locale che fa per voi.

Ah, attenzione, ovviamente,  il vecchio Hamadi  non accetta carte di pagamento :-)

La settimana in vacanza a Parigi mi ha fatto tornare in mente un’abitudine che dalle mie parti va sempre più rarefacendosi: mangiare coniglio. Come si vede in foto il coniglio arrosto allo spiedo è molto diffuso in Francia[1] tanto da vendersi in forma quasi di take-away da noi (per lo meno in Puglia), invece, sta cominciando a subentrare quella sorta di timore reverenziale nei confronti degli animali d’affezione[2] per cui è blasfemo anche il solo pensiero di mangiare un gatto, mentre chiedere al macellaio carne di cavallo è diventato come domandare all’edicolante una rivista porno.

Ma torniamo ai conigli, da bambino i miei nonni allevavano galline e conigli in giardino essenzialmente per scopi alimentari. Posso confermare che quello che si dice sulla prolificità di quelle bestiacce è vero, ogni volta che tornavo dai nonni, circa ogni 15 giorni per il week-end, c’erano nuovi coniglietti e ogni volta la nonna mi faceva trovare il coniglio ripieno al forno. Per essere del tutto onesto non è che mi faccia impazzire la carne di coniglio, anche trattato per giorni conserva sempre quel gusto di selvaggina, tuttavia rimane un sapore di infanzia che mi è tornato in mente in questo viaggio.

Per il prossimo venerdì, visto che sono a cena da lei, ho chiesto a mia madre di prepararmi il coniglio ripieno, non lo mangerò, boh, da 15 anni. Nel frattempo le ho chiesto la ricetta, non si ricordava le dosi, ma il succo è questo:

– Battere il coniglio disossato su una tavolazza e cospargelo di sale e pepe.
– Preparare un impasto con pane, uova, mortadella tritata, carne tritata mista di vitello e maiale, sale e pepe.
– Disporre l’impasto al centro della carne di coniglio e arrotolare tutto serrandolo con dello spago da cucina.
– Mettere il coniglio ripieno in una teglia insieme alle cosce e alle patate, cuocere al forno, a 180 gradi, per circa un’ora.

Bon appétit.

 

[1] personalmente non riesco proprio a considerare il coniglio un animale domestico, io continuo a vederlo come una gallina, una mucca o un maiale, fonte di cibo insomma.

[2] a Parigi ci sono girarrosti dappertutto con conigli, anatre e, sopratutto, polli.

La foto del post precedente è stata fatta poco prima della mia partemza per Parigi; ho pensato di potarmi qualcosa da leggere ma che non avrei avuto molto tempo per farlo, quindi cosa meglio di qualche racconto? Come si può, dunque, dedurre, ho scelto, per accompagnare questo viaggio, di leggere Ucronie Impure un’antologia a tema ucronico, nata da un concorso  lanciato sul web, alla fine del 2010, da Alessandro Girola, e che ne raccoglie i primi dieci racconti classificati.

 

Il tema allostorico, come si può notare dallo stesso nome di questo sito web, è a me molto caro e devo anche dire che altri racconti a tema ucronico letti in giro per internet non mi hanno granché entusiasmato, quindi in un certo senso partivo prevenuto; in più in passato avevo letto alcune recensioni non del tutto positive relative a Ucronie Impure, anche se poi, alla fine, si scopre che a scriverle non sono personaggi del tutto disinteressati.

 

L’antologia nel suo insieme,da un punto di vista qualitativo, è nettamente superiore a qualunque cosa a tema ucronico autoprodotta  io abbia letto, ma anche alla maggior parte delle pubblicazioni italiane del genere dell’ultimo decennio.

 

Ciò detto è evidente che ci siano racconti migliori di altri, del resto si tratta pur sempre di un concorso e personalmente avrei invertito la terza posizione con la prima[1]. La regina dei pirati d’Atlantide, il racconto di Davide Mana, infatti, è probabilmente quello che mi ha colpito più di tutti con un solo problema: Davide ha messo talmente tanta carne al fuoco in poche pagine che per concludere degnamente la storia ci voleva una trilogia di romanzi. A prescindere dai primi classificati, inoltre, vorrei fare un appunto al racconto di Ferruccio Gianola La fine della diaspora: l’idea di un Generale Custer dittatore degli Stati Uniti con gli indiani d’America organizzati in cellule di resistenza è in assoluto l’ucronia che mi è piaciuta più di tutte, peccato solo che il racconto finisca così in fretta[2]. Ottime anche le idee dei viaggi nel tempo che modificano di volta in volta il presente in Rintocchi di Stefano Sciarpa (anche se non sono certo che rientriamo ancora nel genere ucronico), di Rasputin che governa la Russia con la descrizione del meraviglioso combattimento all’ultimo sangue fra Eva Kant Braun e Marlene Dietrich ne Alla corte del monaco nero, di Cristian Leonardi, delle bombe atomiche cristiane di  Reliquie, di Diego Bortolozzo, della privatizzazione dell’aria da respirare negli USA sotto la presidenza Hoover in Aria, di Mattia Tasso(sperando che questo racconto non lo legga Mario Monti),  alla vita alternativa di Michelangelo e Dante Alighieri ne Il millenario Regno d’Italia, di Ariano Geta,  fino ai robottoni di Squali contro alieni, di Simone Corà

 

Tornando alla vetta della classifica non si può non citare il racconto vincitore del concorso,  Kalokagathia, di Angelo Cavallaro, che parte dalla sconfitta dei Greci a Troia per imbastire un piacevole racconto epico della  nuova guerra fra greci e persiani e il secondo classificato Tlaloc verrà, di Alessandro Forlani (recente vincitore del premio Urania 2011) che ci mostra una Lisbona occupata dagli Aztechi che nonostante i loro rituali fatti di sacrifici tribali, paradossalmnte, importano in Europa una cultura più tollerante e meno oppressiva di quella cristiana. Il racconto di Alessandro Forlani è probabilmente il migliore dal punto di vista stilistico e certamente quello con le maggiori implicazioni socio-politiche.

 

In conclusione Ucronie Impure è una piccola perla dell’editoria italiana autoprodotta e, come se non bastasse, è gratuita scaricabile in formato ePub da qui.

 

[1] chiedo scusa ad Angelo Cavallaro, il vincitore del concorso

[2] questo è un invito a Ferruccio Gianola a scrivere il seguito :-)

 

 

Poco prima di Natale è iniziata la mia avventura con la lettura digitale, l’idea era di utilizzare per qualche mese un tablet cinese come e-book reader per vedere se l’esperienza di lettura fosse sufficientemente appagante.

Devo ammettere che al di là di ogni più rosea aspettativa leggere i libri sul tablet è stata davvero un’esperienza piacevole, a parte il leggero fastidio della retroilluminazione (utilissima però per leggere a letto) e l’impossibilità di leggere all’aperto. Fra le altre cose nel frattempo ho cambiato il Blackberry con un Galaxy con uno schermo sufficientemente grande  da permettermi di leggere libri, il che è una grossa comodità specie quando sei fuori casa.

Il vero limite, per quanto mi riguarda, della lettura sul china-tablet e sul cellulare è la maledetta batteria, è sempre scarica quando serve! La sera, quando mi viene voglia di leggere, me li ritrovo entrambi inutilizzabili, poi diciamolo il tablet cinese fa schifo anche solo come e-book reader, comunque nonostante tutto, da Natale avrò letto non più di 3 libri in cartaceo e quindi mi pare giunto il momento di eliminare tutti i problemi che affliggono i tablet e passare alla fase 2: acquistare un vero e-book reader.

In realtà non è stata una scelta granché ponderata, avevo bisogno solo di una scusa qualunque con me stesso e quale migliore pretesto del trovarmi in campagna, controvoglia, con una connessione ad internet simile a quella di Telecapodistria dalla Puglia nel 1978 e un sole accecante, per poter decretare l’indispensabilità dell’acquisto di questo nuovo, meraviglioso, gadget.

Perché proprio il Kindle? Beh non c’è bisogno di fare molte ricerche per stabilire che come rapporto costi/prestazioni sia quanto di meglio in circolazione, nonostante la limitazione relativa al formato e-pub(anche se Calibre fa miracoli [*]) e la mia naturale avversione agli ecosistemi chiusi  [**] come quello di Amazon.

A dirla tutta la spinta definitiva me l’ha data lo sconto di 10 euro praticato da Amazon grazie al codice promozionale gentilmente regalatomi dall’amico di Base Giacomo Dacarro che mi ha permesso di avere il giocattolino a soli 89 euro.

E proprio mentre io sto cliccando sul pulsante “paga” ,  Amazon rende noto che nel Regno Unito la vendita di e-book ha superato quella dei libri cartacei del 14%, un traguardo impensabile nei soli due anni di diffusione dello store Amazon. Ovviamente in italia per raggiungere un simile risultato ci vorranno decenni dato che da noi sono più i libri di cassetta, acquistati come status symbol per essere riposti in libreria, di quelli effettivamente letti; del resto  non fa granché figo mostrare dei file agli amci e va anche considerato che in italia si legge solo in italiano e il numero di ebook nella lingua di Dante è, effettivamente, ancora troppo basso.

Beh che dire, la prima impressione col Kindle è decisamente buona anche se  non ho ancora avuto modo di provarlo a pieno. Posso solo dire che rispetto al tablet è leggerissimo e molto meno affaticante per la vista anche se devo lasciare accesa la luce del comodino. A questo punto credo che visto il ridotto spazio disponibile smetterò di alimentare la mia vena collezionistica per comprare solo libri in formato digitale a meno ovviamente dei libri che di volta in volta scoverò dalle varie bancarelle (quelli presi in passato già costituiscono il 50% delle centinaia di volumi che affollano casa mia).

[*] è stata una figata pazzesca prendere l’e-book dell’antologia Ucronie Impure curata da Alessandro Girola, e con due ckick utilizzare Calibre per trasformarla in mobi e fargliela mandare direttamente sul Kindle.

[**] quando parlo di ecosistemi chiusi non mi riferisco a stupide battaglie fra open e closed source ma all’atteggiamento odioso e  disdicevole di aziende che raggiunta una certa quota di mercato tendono a realizzare formati proprietari e a chiudersi al resto del mondo nell’illusione, più volte smentita dalla storia, che possano così diventare leader incontrastati del mercato. E’ il caso, ovviamente, di Apple e in parte anche di Amazon.