E’ inutile girarci intorno. Se c’è un oggetto che più di tutti ha influenzato la mia vita è il Commodore 64.

Il Commodore 64 è stato il primo computer ad avere, realmente, una capillare diffusione al di fuori delle aziende. Certo secondo gli standard attuali il C64 è molto meno performante del processore del mio forno a microonde ma avere nel 1982, in casa, un aggeggio che poteva vantare ben 64 KiloByte di RAM, processore a 1 Mhz, grafica a 8 bit con co-processore dedicato VIC II, co-processore audio a tre voci  SID 6581, memoria di massa su musicassetta (Datasette) o su Floppy Disk da 5,25″ (Commodiore 1541), monitor a colori da 13 pollici (Commodore 1701), stampante a 9 aghi (MPS-801)  a qualcosa in più di un milione di lire era davvero incredibile.

Io, in verità non ho mai avuto un Commodore 64, nel 1985, mio padre, mi regalò il Commodore 128, con registratore non Commodore, clone del C1541, monitor Hantarex a fosfori verdi (in grado di sfruttare la modalità 80 colonne del C128), 2 joystick e il mitico copritastiera in plastica rigida, il tutto per qualcosa in più di un milione di lire. Quel coso è stato il più bel regalo della mia vita, passarlo ad un mio cuginetto, quando comprai il mio primo PC  nel 1988 (un Amstrad 3286), probabilmente, una delle più grandi cazzate che abbia mai fatto. Ad ogni modo, nonostante avessi il C128, come tutti, lo utilizzavo in modalità C64, dunque ho imparato a programmare col Basic v2.0, e utilizzavo la sterminata quantità di programmi e giochi per il fratellino minore di casa Commodore, tutti, ovviamente, scarsamente originali e avevo, naturalmente, tutti i numeri della rivista Commodore Computer Club, che oltre ad avere articoli interessantissimi, anche di programmazione, aveva l’interessante caratteristica di mostrare stampe di donne molto discinte derivate da immagini per  Commodore Amiga (vedi la foto sotto, per la cronaca era il numero 56), che per gli adolescenti degli anni 80 con tendenze nerd… Una cosa è certa se non fosse esistito il C64, se mio padre non avesse potuto regalarmi un C128, oggi la mia vita sarebbe certamente diversa, probabilmente farei il professore di fisica in un liceo o , peggio,  l’ingegnere elettronico da qualche parte.

Questo mese, il C64 compie 30 anni dal debutto al Consumer Electronics Show (CES) di Las Vegas, nella prima settimana del  1982, nella sua versione nel formato biscottone marroncino, per poi approdare sugli scaffali dei negozi a stelle e strisce nel mese di agosto. Credo, a questo punto, che festeggerò la ricorrenza facendo un giretto su eBay anche se forse mi cercherò un C128, intanto:

LOAD

PRESS PLAY ON TAPE

READY

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Oggi Pierpaolo se ne esce con:
Arcà(1) non sono mai andato nello spazio e nemmeno in treno-,
cioè per lui viaggiare in treno o in astronave è sostanzialmente una questione di mezzo di trasporto e questo, se da un lato è inquietante, spiega cosa sta succedendo, in questi anni, alla science fiction, sopratutto, televisiva.

A parte Stargate Universe, finita ingloriosamente, in TV non si riesce più a vedere un bel fondo stellato e un’astronave con un equipaggio pronto a esplorare nuovi mondi. Per quanto mi riguarda è dalla fine di Star Trek:Deep Space Nine che non c’è una serie TV, chiamiamola di hard science fiction, fatta come si deve. La verità è che la fantascienza dura e pura non tira: negli anni ’60 un tablet che oggi costa 80 euro era uno strumento impensabile, coi comandi vocali si dialogava solo col computer di bordo dell’Enterprise, se dovevi comunicare con qualcuno dovevi chiamare un centralino, i computer, pure quelli fantascientifici, erano grossi, a valvole ed emettevano un sacco di beep. Oggi siamo abituati ad essere connessi 24h su 24h, se mi viene un dubbio su qualcosa lo cerco su Google col Blackberry, in un certo senso oggi è difficile ridestare quel “sense of wonder” che ha fatto la fortuna della SF letteraria e cinematografica negli anni ’60 e ’70. Gli stessi produttori e registi che hanno realizzato piccoli capolavori negli anni ’70 e ’80 hanno cambiato il loro approccio, non cercano più di creare stupore, l’ambientazione fantascientifica, oggi, è diventata solo strumentale a raccontare una storia, una storia che avrebbe potuto essere ambientata, nello stesso modo, in un liceo americano o nel far west. Prendiamo uno dei blockbuster della science fiction di questi anni: “Avatar”(2009). Chiunque ami, almeno un po’, la fantascienza non può non considerare Avatar nulla più che una vaccata immonda eppure produttore, sceneggiatore e regista del film è James Cameron, lo stesso Cameron di Terminator, Aliens, The Abyss, sì OK ha fatto anche Titanic, ma è proprio questo il punto: Avatar poteva essere ambientato su un barcone che affonda, sul pianeta Pandora o nel ballatoio di casa mia, sarebbe rimasto comunque una squallida storia d’amore e d’avventura infarcita di buoni sentimenti, NON c’è un solo elemento fantascientifico nel film realmente indispensabile per narrare la storia, non è Aliens, non è Terminator. Il problema quindi è il pubblico, non voglio credere che sia Cameron a corto di idee; spesso si parla di crisi di idee degli sceneggiatori ma se mio figlio, a quattro anni, non è per niente impressionato dal fatto di poter viaggiare fra le stelle e incontrare Topolino Marziano, hai poco da inventarti nuove storie, nuove tecnologie, nuove civiltà aliene per mio figlio sarà sempre un po’ come vedere uno spettacolo stantio, come può essere per me guardare un teatro di burattini. Sì certo si appassionerà nel vedere le battaglie in computer grafica dei Transformers ma difficilmente riuscirà ad innamorarsi di un futuro sognato, per certi aspetti, persino più arretrato del suo presente  e questo è un maledetto peccato.

(1) sì, mio figlio mi chiama Arcà

Comincio questo nuovo anno scrivendo un post mentre tengo in braccio mio figlio Gabriele, nato nel 2011, segno che tutto sommato l’anno passato, per me, non è stato poi così male. E’ inutile dire che non è certo un giorno in più nel calendario a poter cambiare la gente, infatti, come ogni primo dell’anno, c’è il solito bilancio di morti ammazzati, invalidi permanenti e feriti gravi lasciati dai botti di fine anno, a dimostrazione che la persone non migliorano perché cambia il calendario e che ci sono in giro un buon numero di idioti che, non solo sono capaci di spendere un capitale in fuochi pirotecnici, ma  non sono  nemmeno in grado di usarli, senza rischiare seriamente di lasciarci la buccia. Certo non è che il problema si possa risolvere a colpi di divieto, come si è tentato di fare in questi giorni in mezza italia, che poi mi chiedo: se c’è bisogno di vietare l’uso di fuochi d’artificio per strada l’ultimo dell’anno vuol dire, per caso, che in un giorno qualsiasi sono libero di piazzarmi in una piazza a lanciare ordigni, legali s’intende, senza essere fermato?

Probabilmente il 2012 sarà un anno difficile, senza entrare nel merito del discorso politica, tasse e crisi economica domani, molta gente, non avrà più un lavoro e non sarà stato per colpa loro e, detto fra noi, dubito anche ci sia da sperare troppo nella profezia dei Maya e nel giorno del giudizio, per come la vedo io gli antichi Maya avrebbero dovuto curare meglio l’aspetto della comunicazione, quindi penso che si possa già prenotare per il prossimo capodanno.

Chiudo, questo post, anche perché il nanerottolo in braccio non mi fa scrivere, con una nota di autoconpiacimento per il fatto di aver ottenuto, per il 2011, oltre 35.000 visitatori unici in questo blog e augurando a me stesso e a chiunque si trovi da queste parti, che i nostri desideri, qualunque essi siano, possano realizzarsi e se qualcuno si chiede che c’azzecca la foto sopra,… beh lo invito a rileggersi queste ultime righe. ;-)