Inizialmente avevo intenzione di parlare del’ultimo  film della trilogia del Batman di Christofer Nolan, poi mi sono reso conto che non solo arrivo ben ultimo ma che non sarei stato particolarmente originale non potendo  aggiungere alcunché  a quanto è già stato detto su Dark Knight Rises.  A voler proprio esprimere un’opinione il Ritorno del Cavaliere Oscuro è un film molto buono, forse un po lento in alcune parti e con qualche buco di sceneggiatura ma per certi aspetti potrebbe essere considerato il migliore della trilogia ciò, ovviamente, se i tre film potessero essere giudicati singolarmente e non come un’unica opera.

 

Quello che  invece farò, è parlare di Bane, il cattivone del film, quello che <spoiler> quasi spezza la schiena a Batman </spoiler>.

 

Quando sono uscito dal cinema la prima impressione su Bane è stata quella di aver visto il villain più ridicolo della storia dei fumetti al cinema. In verità la mia opinione su questo non è granché cambiata   a distanza di una settimana; la maschera con i tubicini che gli conferisce quell’aria da Dart Fener del Wrestling professionistico e la sua uscita di scena degna di Brutus in qualunque striscia di Popeye non rendono certamente onore al super cattivo che, nella saga Knightfall degli anni ’90, spedì Batman sulla sedia a rotelle; tuttavia, per tutta la settimana,  non ho potuto fare a meno di pensare al suo ruolo nella narrazione di quello che non è un film di supereroi come tutti gli altri.

 

Il vero protagonista della pellicola, infatti, non è Batman e non è certo il piccolo Bane; il reale protagonista del film è  la città di Gotham, la sua gente, la società. Eliminato Batman, Gotham City diventa terra di nessuno, diventa una città morta dove Bane e i suoi uomini promettono la libertà dell’anarchia mentre spadroneggiano sulle spoglie della città trucidando i dissidenti e i membri di quella che, con un termine in voga nell’italietta di oggi, si definisce casta. Gli abitanti di Gotham non sembrano particolarmente infastiditi dall’ingombrante presenza di Bane, anzi i più scaltri si uniscono a lui mentre gli altri sembrano rassegnati se non contenti di rinunciare alla libertà in cambio di una sorta di rivalsa nei confronti dei politici corrotti e dei faccendieri che avrebbero affamato il popolo, una rivalsa che ha il  sapore di una riscossa nei confronti di quel capitalismo  selvaggio che mette sempre in secondo piano l‘uomo; non a caso la falsa rivoluzione anarchica di Bane comincia dalla borsa di Gotham/New York.

 

Importa poco che il fine ultimo di Bane sia quello di radere al suolo la città con un ordigno nucleare, quel che conta realmente è che Bane è riuscito nell’intento di dare alla gente una speranza e, nonostante i pochi margini di manovra concessi dalla dittatura anarchica, la gente è riuscita dimostrare inequivocabilmente di essere morta dentro e di meritare davvero l’olocausto che gli si prospetta. Il film riesce a mostrare la parte peggiore dell’umanità a mettere in luce la debolezza che si cela nell’invidia sociale che si traduce in un falso tribunale del popolo dove l’ignorante diviene burocrate per fingere di amministrare un potere che non gli è mai stato realmente conferito.

 

Anche i dissidenti, i partigiani di questa invasione farzesca, non hanno reali argomentazioni contro Bane e contro il nuovo status-quo; a parte Gordon, che ha dalla sua la conoscenza, gli altri combattono per un ideale generico di libertà, una libertà che, a conti fatti, non avevano nemmeno prima, che non hanno mai avuto. Questo è il motivo per il quale i partigiani del film non sono mai realmente pericolosi per i piani di Bane e diventano un simbolo solo quando vengono impiccati mostrando al mondo intero, non solo a Gotham City, che non c’è più speranza.

 

Nemmeno il ritorno di Batman e il suo estremo (si fa per dire) sacrificio, porta ad una vera redenzione, il male continua ad aleggiare sulla città che nonostante le ferite, nonostante sia stata privata della casta è pronta a ricominciare come prima, è pronta ad accogliere un nuovo giustiziere mascherato che l’aiuti a smacchiarsi la coscienza più nera di un pipistrello nella notte.

 

Io non so se  Nolan volesse realmente dire tutte queste cose, probabilmente no, quel che è certo è che io non ho potuto non ritrovare una profonda similitudine fra la realtà immaginaria di una Gotham City corrotta da redimere e  quella forse meno immaginaria ma altrettanto stereotipata della nostra società. Una società dove eliminato un Jocker sono tutti pronti a seguire un pagliaccio, diverso nell’aspetto forse, ma non nel modo di parlare allo stomaco della gente e  ad alimentare i sentimenti peggiori delle persone cavalcandone l’invidia sociale e concedendo loro di vedere la luce da uno spiraglio di libertà che non gli sarà mai concessa.

 

Rileggendo tutto mi sono reso conto di aver parlato del film più di quanto avrei voluto contraddicendo l’inizio del post, ma ormai è fatta…

Settembre, il mondo artificiale vacanziero si infrange contro l’adamantina realtà: la vita quotidiana torna con tutti i suoi fastidi e le noiose sofferenze, la crisi torna prepotente a terrorizzare le notti dell’umanità, il modello standard risorge implacabile dal suo momentaneo oblio per tornare a nutrirsi delle anime dei suoi adepti.

La verità amara è che nessuno di noi può sfuggire a questo triste fato, ma ciò non vuol dire che almeno non ci si possa provare.

Ma andiamo con ordine, questo post prende spunto, da alcune discussioni fatte qualche giorno fa con alcuni amici e si concentra sulla definizione di Modello Standard su cui si basano le nostre vite elaborata da Davide Mana.

. da quando sei in grado di parlare, ti viene detto di tacere e ascoltare
. devi studiare
. se vuoi puoi “toglierti la soddisfazione” di prenderti una laurea, tanto non ti servirà
. poi ti trovi un lavoro onesto
. e ti fai una famiglia
. poi lavori per i quattro decenni successivi per guadagnarti una vita che spendi lavorando
. poi arrivi alla pensione, e te la godi
. poi muori
. ai tuoi figli tocca lo stesso destino… e così per l’eternità. Sarà bellissimo.

Il modello standard, quello che è stato propugnato con poche variazioni, a tutti noi dai nostri genitori e dalla società, in realtà non è immutabile ma cambia di generazione in generazione, solo che è sempre un passo indietro rispetto alla realtà e mentre tutti noi consciamente o meno cerchiamo di tendere ad esso, il bastardo muta e ci fotte. Ogni modello standard, infatti contiene in sé una promessa di felicità, vivi una vita di merda e ci sarà per te un tempo in cui potrai goderne i benefici, una promessa che, nel modello attuale, sappiamo non potrà essere mantenuta, non in questi termini almeno, ma che nonostante tutto ci induce a proseguire verso la strada dell’autodistruzione.

Perché?

Perché il modello standard è una convenzione sociale accettata e propugnata iterativamente e l’uomo è un animale sociale. Prendi la strada giusta e non sgarrare, se no poi te ne facciamo pentire (cit.) perché se qualcuno prova a uscire dal modello standard, se si prova a dire:

– no, io non mi accontento del lavoro di merda sottopagato nella fabbrichetta che si regge sul nero –

la società lo rimette subito in riga prima redarguendolo e poi emarginandolo, costringendolo a tornare sui corretti binari, fino a riportarlo nella massa di pecoroni belanti che in fila per tre marciano verso il baratro.

Eppure dovremmo tutti renderci conto che le cose sono cambiate, che questo modello standard, ammesso che sia realmente il paese dei balocchi che ci hanno prospettato, non è più perseguibile perché il mondo cambia in fretta e c’è la crisi, sì c’è la crisi di un modello economico-sociale che ha fatto il suo tempo; qualunque cambiamento corrisponde ad una crisi, alla crisi proprio del modello standard che  implodendo in se stesso lascia per strada i cadaveri di coloro che, irretiti dalle sue promesse di felicità, in esso hanno investito la propria vita, e genera gli zombie di quelli che nel modello ci credono ancora.

Non c’è una via di uscita facile dalle crisi che purtroppo non sono economiche ma di sistema e che possono solo essere cavalcate e in alcun modo contrastate, l’unica cosa giusta da fare è accettare il cambiamento e dice bene Alex Girola, parlando di lavoro, quando afferma

In un’epoca di grandi cambiamenti è auspicabile cercare di sfruttare al meglio le proprie risorse. Se abbiamo dei talenti è ora di sfruttarli. Se possediamo delle capacità che possono essere vendute, coniugando piacere e lavoro, è il momento di tentare questa strada.

Ma distaccarsi dal modello standard equivale a combattere prima contro un condizionamento interno e poi contro una società, per forza di cose conservatrice per preservare se stessa; non è una cosa facile e il più delle volte ti ritrovi di fronte a quello che ti fa capire che  “per guadagnare soldi devi fare qualcosa che odi, spezzarti la schiena e arrivare a sera possibilmente stravolto di fatica e sudato. Rigorosamente dalle 9.00 alle 17.00, altrimenti non è lavoro” (cit.).

Quasi che non fosse giusto cercare un lavoro appagante, un lavoro in cui ci si diverte, come se fosse sbagliato cercare di vivere intensamente le proprie passioni e di essere felici adesso e non, forse, poco prima di morire.

Io sono stato fortunato, ho cominciato a lavorare immediatamente dopo la laurea, a due passi da casa, facevo il programmatore, pagato non malaccio per gli standard meridionali; scrivere software è una cosa che mi è sempre riuscita dannatamente bene ma è anche un lavoro alienante, a tal punto che dopo nemmeno un anno mi sono rotto i coglioni e ho cominciato a cercare altro. La cosa divertente è che sono rimasto nel modello standard, non ho detto: Mollo tutto! E faccio solo quello che mi pare , ma ho semplicemente cercato di meglio e alla fine ho trovato rimanendo ancora nel modello standard, un lavoro migliore, pagato molto meglio e che mi consente entro dei limiti abbastanza  ampi di essere creativo. Nonostante tutto sono stato biasimato  dalla famiglia e dalla società  perché chi lascia la via vecchia per la nuova… 

Il vero problema del modello standard, però, non sono i vecchi che avrebbero tutte le ragioni di mantenere inalterato lo status quo, bensì i giovani, coloro a cui il futuro è stato negato che non solo non riescono a rinnegare il modello ma nemmeno ad accettare che il mondo possa funzionare (e che per millenni l’abbia fatto) in maniera diversa. Piccoli arrivisti disposti a calpestare prima se stessi, i propri sogni e le proprie passioni e poi gli altri pur di ricavarsi una piccola nicchia in cui prosperare, anche se, in realtà, nel sarcofago che si sono creati all’interno del modello standard c’è spazio a mala pena per la sopravvivenza; esseri insignificanti disposti a truffare, mentire e svendere se stessi per un i-Phone e un piatto di lenticchie, persone per le quali l’unica cosa importante sono i soldi e non come te li sei procurati.

Io, l’ho già detto, sono dentro al modello standard, sono stato condizionato a ricercarlo e ne sono consapevole, ci sono dei giorni in cui rimpiango di aver fatto certe scelte,  giorni in cui provo, in un certo senso, invidia per chi ha perseguito strade diverse, in certi casi più impervie, ma ci sono giorni, invece, in cui mi ricordo di essere fortunato, perché in realtà le mie scelte sono state consapevoli e non del tutto lontane dalle mie passioni e dai miei desideri ma sopratutto perché posso condividere sogni, emozioni e desideri con la mia compagna a cui, oltre tutto, mi legano simili apirazioni e identici punti di vista.

Ora, vi prego, tornate alla vostra crisi, tornate al governo ladro e alle tasse ingiuste, ricominciate pure a piangervi addosso perché voi siete le vittime mentre il carnefice è sempre qualcun altro.