In questi giorni le associazioni dei genitori francesi hanno dichiarato guerra ai “compiti a casa”, le attività di doposcuola degli studenti che richiedono ore e ore di lavoro ripetitivo per applicare le quattro nozioni in croce sciorinate a scuola da insegnanti il più delle volte inetti e svogliati.

E’ di ieri la dichiarazione del  Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (finalmente si può scrivere con lettere maiuscole), Francesco Profumo, che suona quasi come un pesce d’aprile

Oggi i ragazzi ricevono molti stimoli anche dall’ambiente extrascolastico, e quindi deve cambiare la struttura dei compiti e delle lezioni », ha chiarito Francesco Profumo durante una visita a due istituti di Ancona. «Se oggi si dà una versione di greco o latino, mi racconta mia moglie che è insegnante, quasi sempre la traduzione si trova su internet. C’è anche un sito specializzato, basta inserire tre parole… Insomma, dobbiamo essere più “smart” dei ragazzi». Più furbi. È necessario, dice Profumo, che gli studenti inseguano noi, e non che noi, gli adulti, inseguiamo loro.

Il ministro apre dunque uno spiraglio all’abolizione dei compiti a casa e parla, sobriamente, di ripensare alla struttura dei compiti e delle lezioni, senza dare diktat inapplicabili o, com’è stato fin’ora, tirar fuori idee balzane partorite dalla fantasia di qualcuno che ha, evidentemente, affrontato la scuola sedendo sui banchi di dietro.

Il modello insegnante che recita la lezione imparata a memoria e studente che deve imparare a memoria la stessa lezione per l‘interrogazione o il compito in classe era ed è anacronistico.  Il migliore punto di vista contrario alle ipotesi del ministro, quello di Giorgio Israel, sul Messaggero, parla dell’ineluttabilità dei compiti a casa, fondamentali per prepararsi a quei sacrifici che saranno necessari al discente per divenire parte integrante della società attiva, specie in questo periodo di austerity.

Sacrificio.

In effetti di questo si tratta. Ricordo fin troppo bene i pomeriggi passati a casa, dopo 5 ore a scuola, a fare i compiti: nessuna attività creativa, nessuna libertà di approfondimento, solo l’applicazione pedissequa delle nozioni malamente esposte durante le scialbe lezioni e certo non perché i miei insegnanti fossero particolarmente incompetenti ma perché proprio il sistema di insegnamento si reggeva e si regge su un modello errato, quello che non lascia libero lo studente di scegliere cosa e, sopratutto, come imparare. Le rare volte che un compito da svolgere era vagamente interessante, quei casi in cui ci si discostava dall’applicazione di nozioni da imparare a memoria, quando avevo la possibilità di far funzionare il cervello, ricordo di aver studiato sempre con piacere, altro che sacrificio, sarà per questo che mi sono sempre piaciute più le scienze delle materie umanistiche.

Lo studio non è sacrificio

Non deve esserlo. Lo studio deve tornare ad essere quello che è sempre stato per dare realmente frutti, un’attività da fare liberamente seguendo la propria indole e le proprie propensioni, per il nozionismo c’è Google. Del resto, parliamoci chiaramente, se uno per lo studio non c’è tagliato, può anche stare in piedi fino a mezzanotte, tediando l’intera famiglia, per cercare di mandare a memoria l’enciclopedia Treccani (o Wikipedia per gli amanti della libera informazione) e pensare di cavarsela al compito in classe, ma rimarrà sostanzialmente un cretino; un cretino che, per di più, non avrà avuto il tempo per studiare veramente.

 

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