Non c’è niente da fare, sin da bambino, tutto quanto fosse legato alla “campagna”(*) non mi ha mai attirato. Ci sono due periodi, in particolare, che non ho mai sopportato: la vendemmia e la raccolta con relativa molitura delle olive nel frantoio.

Io, in genere, mi rifiuto di partecipare a questa sorta di “riti pagani”, oltre tutto, perché ricavo un fastidio fisico dal sapere che tutta l’attività legata alla campagna, per come la gestiamo in famiglia, è totalmente anti-economica e viene fatta solo per è una cosa che DEVE essere fatta. Quest’anno tuttavia, con mio padre tutt’altro che in forma, ho passato il pomeriggio di ieri al frantoio. Nonostante l’immensa scocciatura dello “sprecare” in questa maniera il mio, sempre più prezioso, tempo libero, ne sono venute fuori almeno due cose positive. Tanto per cominciare Pierpaolo si è divertito un mondo, non aveva mai visto un frantoio e questo era un opificio semi-industriale e quindi, per quanto non fosse elevatissimo, il livello di automazione del processo di molitura, agli occhi del bambino di quattro anni, è apparso quasi fantascientifico (non faceva altro che osservare le macchine e ripetere “come un’astronave”). La seconda cosa da non sottovalutare è che mi sono portato via due litri di olio appena prodotto che, nonostante ci sia chi non è d’accordo con me, è una cosa di una squisitezza unica.

(*) la mia famiglia, i miei genitori in realtà, possiedono alcuni pezzi di terra, coltivati ormai solo ad uliveto, da cui si ricava l’olio extravergine di oliva per tutta la famiglia. C’è da dire che, visto i tempi che corrono, finisce che avere la disponibilità di un pezzo di terra, alla fine, tornerà utile ;-)

OK la foto non è un granché, fotocamere da cellulare e poca luce non vanno d’accordo, ma riprende l’immagine suggestiva di un ipermercato deserto, dove tutto è spento. Un posto, fino a poche ore prima, pieno di gente, di bambini che giocano, di ragazzette che si atteggiano a dive della TV, di giostrine, esibizioni, negozi e luci di Natale è morto, ma di una morte bella, una morte che porta in sé il germe della resurrezione.

Mentre guardavo la galleria in penombra mi è venuto in mente questo:

Credo nella gentilezza del bisturi, nella geometria senza limiti dello schermo cinematografico, nell’universo nascosto nei supermarket, nella solitudine del sole, nella loquacita’ dei pianeti, nella nostra ripetitivita’, nell’inesistenza dell’universo e nella noia dell’atomo.

 

Questo è il periodo delle pandemie cinematografiche, dopo “28 Days Later” è la volta di Blindness, per la regia di Fernando  Meirelles, altra pellicola con protagonista una bella epidemia quasi letale, basata, questa volta, sul romanzo dello scrittore portoghese José Saramago, Ensaio sobre a Cegueira che, purtroppo, non ho mai avuto modo di leggere.

Tutto comincia con una strada trafficata e un auto che improvvisamente si ferma bloccando la circolazione. L’autista sembra stare male, viene soccorso dagli altri automobilisti e racconta di essere diventato improvvisamente cieco, ma di una cecità strana, la vista non è scomparsa nella tenebra ma la sua retina sembra impressionata da una luce bianca e lattiginosa.

Quello che può sembrare un interessante caso clinico, però, non è altro che il paziente zero di un’epidemia sconosciuta di cecità che, in breve tempo, sembra diffondersi in tutto il mondo. L’epidemia, tuttavia, non è altro che un espediente narrativo per mostrare l’impatto sulla società di un elemento destabilizzante come la perdita quasi simultanea della vista.

Per tutto il film si assisterà ad un’involuzione sociale, ad un imbruttirsi dell’umanità dove in poche settimane torna a prevalere l’egoismo e la violenza, dove l’importante è la sopravvivenza e dove sono i più forti ad avere il sopravvento; tutto ciò viene raccontato attraverso gli occhi della moglie del medico che per primo ha visitato il paziente zero(nessun personaggio nella storia viene identificato per nome), l’unica persona, sembrerebbe, rimasta immune all’epidemia, una donna che da sola è costretta a reggere il peso di un’umanità in disfacimento e nello stesso tempo ad essere l’unica speranza di rinascita per un mondo sprofondato negli abissi dell’inferno. Una bellissima Julianne Moore che si adatta benissimo al ruolo di una donna che, nel corso della storia, cambia profondamente, anche fisicamente, ma che per tutto il tempo riesce a centralizzare su di se e attraverso la luce dei suoi occhi il ruolo di faro dell’umanità.

Ad un certo punto, come tutto è iniziato, tutto finisce. Il paziente zero, come l’aveva improvvisamente persa, così riacquista la vista alimentando la speranza che, pian piano, tutto torni alla “normalità”; immediatamente si avverte un clima più sollevato; il mondo, di nuovo, si ferma per aspettare, questa volta, che si riaccendino le luci. Si avverte il sollievo della moglie del medico, come se si fosse scaricata di un enorme fardello ma, nello stesso tempo, sembra quasi di intuire una sorta di delusione da parte della donna per non essere più al centro del mondo in bianco.

Film da vedere, se non altro è un pugno nello stomaco.

Come ogni anno, immancabilmente, deve arrivare  il post sull’albero di Natale. Il 2011 è l’anno dei Puffi, l’action movie sulle creature blu alte due mele e qualcosa ha appena finito di spopolare nelle sale cinematografiche e puffando puffando a casa mia ha trovato dimora un nuovo baby-puffo di nome Gabriele che, a dirla tutta, non è blu e più che un puffo sembra un tacchino con gli occhi a palla. Ad ogni modo cazzeggiando su eBay in un giorno di “scazzo” mi appare l’inserzione di un albero di Natale color puffo… il puntatore del mouse si muove come un fulmine sul pulsante “compralo subito” e, prima ancora di avere il tempo di riflettere, si chiude la transazione con Paypal. Il risultato di questa mirabile compravendita è nelle foto sotto; dico solo che in tutto ciò il puffo 4-enne si è divertito un mondo.


 

In questi giorni, come personale colonna sonora automobilistica, sta girando la discografia di Edoardo Bennato se non altro perché al bimbo piace riascoltare ad libitum l’album “Sono solo Canzonette” e in particolare “Rockcoccodrillo”.

Ieri sera, così, mi è tornato alla mente Joe Sarnataro. Era l’A.D. 1992 e in TV apparve un lungometraggio, trasmesso in pillole nel primo pomeriggio , con protagonista un bluesman napoletano che, tornato dall’America, si mette in testa di esportare la democra.. ehm il rock&blues a Mergellina. Così, insieme a un gruppo napoletano, i Blue Staff e con l’aiuto di suo nonno Vincenzo(interpretato dallo stesso Edoardo Bennato), che elargisce perle di qualunquismo e saggezza partenopea  “ricevute in sogno” e che diventano parte dei suoi testi, in un certo senso, riesce nell’intento. La fiction era intitolata “Joe e suo nonno”, per la regia di Giacomo De Simone, e pur non essendo certamente il più grande capolavoro di RaiUno vede la partecipazione di attori “famosi” nel panorama televisivo italiano come Lino Banfi/Nicola Scarola o Renzo Arbore/Cav.Renzo e denuncia una Napoli di corruzione e malcostumi.  In realtà il film tv faceva parte di un progetto più ampio di un geniale Joe Sarnataro/Edoardo Bennato, insieme all’uscita di un album rock/blues dal titolo “È asciuto pazzo ‘o padrone” pubblicato dall’etichetta Virgin da Joe Sarnataro e i Blue Staff,  seguito da un tour europeo durato oltre due anni. Anche il disco, a dire il vero, musicalmente, per quanto godibile, è tutt’altro che originale, per quanto parlando di rock&blues c’è ben poco da essere originali, ma i testi, tutti in dialetto partenopeo, richiamano il Bennato delle origini, la denuncia dei limiti e delle carenze strutturali di una Napoli dove alla fine “nun se salva nisciuno” insieme agli elogi per quella napoletanità che la rende una delle città più belle del mondo.

Inutile dire che io comprai la musicassetta nel 1992 e, dopo averla letteralmente consumata, adesso torno a riascoltarmela… intanto un consiglio:

E’asciuto pazzo ‘o padrone!…
…E chiste sò nummere, sò nemmere buone
dieci, quindici, vintidoje e trentuno
joteville a jocà !…

e chiudo con uno stralcio del film TV, un pezzo che anche oggi è davvero “potente”