25 anni fa, il 26 aprile del 1986, durante l’esecuzione di un test nella centrale elettronucleare di Chernobyl, a causa di un errore del personale nel corso di una simulazione di guasto al sistema di raffreddamento, le barre di uranio del nocciolo del reattore nucleare numero 4 si surriscaldarono fino alla fusione del nocciolo  con due esplosioni che scoperchiarono la copertura e dispersero nell’atmosfera particelle radioattive. Gli effetti delle esplosioni in pochi giorni si diffusero in tutta l’Europa, italia compresa contaminando l’atmosfera e il terreno se pure in maniera non particolarmente dannosa per gli esseri umani. Ricordo, tuttavia, all’epoca, la corsa ad accaparrarsi le scorte di cibo in scatola, il latte UHT e, per mio sommo gaudio, l’astinenza dalla verdura; i miei genitori, un po’ come tutti, avevano paura, anche perché i media, come al solito, facevano terrorismo e non c’erano informazioni di prima mano. Nel 1986 esisteva ancora l’URSS e la Guerra Fredda, internet non c’era e le informazioni stentavano ad arrivare, la stessa popolazione civile  fu evacuata solo dopo tre giorni nonostante il rischio reale di contaminazione, nessuno davvero sapeva cosa fosse successo… io intanto pensavo a come potesse essere vivere in un rifugio anti-atomico.

Il disastro di Chernobyl riportò nel mondo il terrore dell’atomo (come dicono i giornalisti che evidentemente non sanno di essere fatti di atomi) dopo le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki e convinse molti paesi, fra cui l’italia, a ripensare alle proprie politiche energetiche.

Oggi che Chernobyl cominciava, quasi, ad essere dimenticata è la volta di Fukushima, a ricordarci che la tecnologia, anche la più sicura, ha sempre le sue falle e che in certi casi un errore può costare molto, troppo, caro; questo tuttavia dovrebbe servirci da monito, aiutarci a rimanere in guardia di fronte all’imponderabile non a renderci schiavi del terrore, impauriti come il primo Sapiens di fronte al fuoco.

 

 

 

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