Chi l’avrebbe mai detto… mi sento moralmente obbligato ad andare a votare alle primare del PD per le elezioni regionali. Non ho mai pensato alle primarie di partito come uno strumento utile in democrazia, ma piuttosto, ad una pagliacciata in stile americano; in verita’ ho sempre pensato che, tutto sommato, la gestione partitica della politica non e’ alla fine il peggiore dei mali. Negli ultimi tempi pero’, forse anche a causa di una legge elettorale, che viaggia sul filo fra democrazia e qualcos’altro che non riesco nemmeno a definire, negli ultimi tempi dicevo si sta davvero esagerando.
Andammo i pomeriggi cercando affiatamento,
scoprivo gli USA e rari giornaletti.
Ridesti nel vedermi grande e grosso coi fumetti,
anch’ io sorrisi sempre piu’ scontento.
Poi scrissi il nome tuo versando piano sulla neve
la strana cosa che sembrava vino,
mi aveva affascinato il suo colore di rubino:
perche’ lo cancellasti con il piede?
La scatola meccanica per musica e’ esaurita,
rimane solo l’ eco in lontananza,
ma dimmi cosa fai lontana via nell’ altra stanza,
ma dimmi cosa fai della tua vita.
O sera, scendi presto! O mondo nuovo, arriva!
Rivoluzione, cambia qualche cosa!
Cancella il ghigno solito di questa ormai corrosa
mia stanca civilta’ che si trascina.
Poi piovve all’ improvviso sull’ Amstel, ti ricordi?
Dicesti qualche cosa sorridendo;
risposi, credo, anch’ io qualche banalita’ scoprendo
il fascino di un dialogo tra i sordi.
Tuo nonno era un grand’ uomo, famoso chissa’ cosa,
di loro si usa dire “e’ ancora in gamba”.
Mi espose a gesti e a sputi quella “weltanshauung” sua stramba
puntando come un indice una rosa.
Malinconie discrete che non sanno star segrete,
le piccole modeste storie mie,
che non si son mai messe addosso il nome di poesie,
amiche mie di sempre, voi sapete!
Ebbrezze conosciute gia’ forse troppe volte:
di giorno bevo l’ acqua e faccio il saggio.
Per questo solo a notte ho quattro soldi di messaggio
da urlare in faccia a chi non lo raccoglie.
Il tuo patrigno era un noto musicista,
tuo padre lo incontravi a qualche mostra.
Bevemmo il te’ per terra e mi piaceva quella giostra
di gente nelle storie tue d’ artista.
Mi confidasti trepida non so quale segreto
dicendo “donna” e non “la cameriera”.
Tua madre aveva un forte mal di testa quella sera:
fui premuroso, timido, discreto.
E tu nell’ altra stanza che insegui i tuoi pensieri,
non creder che ci sia di meglio attorno:
noi siamo come tutti e un poco giorno dopo giorno
sciupiamo i nostri oggi come ieri.
Ma poi che cosa importa? Bisogna stare ai patti:
non voglio il paradiso né l’inferno.
Se a volte urlo la rabbia, poi dimentico e mi perdo
nei mondi dentro agli occhi dei miei gatti.
Uscimmo un po’ accaldati per il troppo vino nero,
danzammo sulla strada, gia’ albeggiava.
Sembrava una commedia musicale americana,
tu non lo sai, ma dentro me ridevo…