Torniamo a parlare di assurdi divieti imposti per una fantomatica tutela dell’ambiente. Qualche tempo fa ho scritto a proposito del divieto delle buste di plastica che, pure se rimandato al 2011, si è già trasformato in una nuova vessazione per il consumatore che nella GdO è costretto, di fatto, ad acquistare sacchetti riciclabili che hanno un impatto abientale decisamente maggiore (in quanto prodotti, generalmente, da fibre vegetali) e un costo di vari ordini di grandezza superiori dei comodissimi vecchi sacchetti di plastica (La sporta da casa, ormai è acclarato, non la porta giustamente nessuno). Oggi è la volta di parlare del divieto di vendita delle lampadine a filamento. Quando ho cambiato casa ormai cinque anni fa ho pensato che, tutto sommato, poteva essere una buona idea utilizzare solo lampade a risparmio energetico di tipo fluorescente (CFL) sia per risparmiare sulla bolletta elettrica che per evitarmi la seccatura di sostituire le lampadine, vista la durata dichiarata delle CFL. Certo l’investimento iniziale era decisamente esagerato, ma tutto sommato poteva valerne la pena. Bene, dopo circa tre anni tutte (TUTTE) le lampade a risparmio energetico hanno terminato il loro ciclo vitale (sono morte). Dunque la mia esperienza alla fine è che le CFL costano un botto, fanno una luce schifosa, ci mettono mezz’ora per avere una luminosità accettabile (si anche quelle a preriscaldamento), hanno una vita (in un mondo reale non se accese ininterrottamente per 8 ore) decisamente inferiore di quelle a filamento, hanno una dimensione tale da non poter essere utilizzate in moltissime plafoniere e portalampade, non si possono utilizzare con variatori di luminosità… in pratica sono delle emerite schifezze. Ovviamente dal 2012 queste porcherie, insieme ad alogene e led dovrebbero sostituire le attuali lampade a filamento. Personalmente ad oggi ho sostituito quasi tutte le CFL con alogene e filamento e devo dire che i miei consumi energetici sono spropositati esattamente come prima; dunque anche il risparmio energetico va a farsi benedire, almeno nel mio caso. Per lo smaltimento poi, un conto è gettar via un bulbo di vetro e lamiera, un conto è smaltire un tubo di vetro pieno di gas nobili, materiale fluorescente e circuiti elettronici annegati nella plastica(si perchè questo è una lampada CFL). Devo dire, invece, che con le alogene mi trovo benone, fanno una bella luce e finora non se n’è fulminata nemmeno una. Per le lampade a led, per ora non iluminano granchè ma sono fantastiche (le adoro) come lampade d’arredamento (ho preso una lampadina a led colorati cinese che ho messo nella vetrina dei modellini e fa una luce meravigliosa). In conclusione col costo di una lampada CFL ho acquistato una scorta di lampade a filamento che basteranno anche per i miei nipoti e ancora una volta veniamo presi per il culo come consumatori che da una parte convinti col miraggio del risparmio energetico e dall’altro costretti con le imposizioni siamo obbligati a spendere venti volte tanto per una lampadina.
Ieri sera vado a fare la spesa e al banco frutta trovo niente meno che varie cassette di uva. Decisamente siamo fuori stagione per l’uva, con tutta la buona volontà un produttore italiano puo’ mantenere il frutto sulla vite fino ad ottobre-novembre, dicembre forse in vigneti molto ben protetti; eppure in febbraio sul bancone del fruttivendolo c’e’ ancora l’uva, a un prezzo accettabile (2,90 euro al chilo) e pure di qualita’ media. La frutta ovviamente non era stata prodotta nelle splendide campagne della Puglia ma… in Costa Rica. Ripensando a questo episodio, oggi, mi sono trovato, dunque, a riflettere sulla possibilita’, sconosciuta fino a qualche anno fa, di avere ogni tipo di frutta e verdura e in ogni stagione.
Personalmente a me l’uva piace molto e poterla comprare a febbraio a prezzi quasi da saldo mi sembra un ottimo affare; d’altro canto c’è da dire che la moda ecologista dei prodotti alimentati a chilometro zero porta con se indubbi vantaggi. Pere chi non lo sappia sto parlando di frutta, verdura, salumi, formaggi prodotti a poca distanza dalla tavola del consumatore, così da risparmiare i costi ambientali dovuti alle emissioni di gas serra durante il trasporto. Tuttavia se pure, nemmeno con dati scientifici seri, riuscirebbero a convincermi che a livello ecologico questa trovata apporti un significativo miglioramento ci sono un sacco di motivi per sostenere il consumo di prodotti territoriali. In primo luogo esiste una motivazione economica; chiaramente favorire l’agricoltura delle nostre terre e tutto il relativo indotto non può fare che bene all’economia. Una seconda motivazione riguarda la qualità dei prodotti. E’ ovvio che solo un idiota campanilista affermerebbe che i prodotti del proprio territorio siano migliori di quelli del Costa Rica a prescindere, ma è comunque evidente che un controllo sulla qualità e sui metodi di produzione sia più semplice da esercitare a 5km di distanza piuttosto che a 5000; dunque appare chiaro che la ciliega che compro a Turi direttamente dal produttore sia inevitabilmente più buona di quella importata dal Sud America che compro all’ipermercato. Ovviamente è inutile dire che la qualità costa e non tutti sono disporti a pagare un prezzo, a volte anche doppio o triplo per un prodotto, tutto sommato, simile a quello di importazione e come dargli torto… inoltre è inutile nascondersi dietro un dito, semplicemente il nostro paese non è in grado di produrre generi alimentari per tutti e se ci provasse altro che scempio ambientale… dunque l’importazione è necessaria. Torniamo quindi al punto di partenza: quanto è giusto importare i prodotti alimentari da un altro continente, anche e sopratutto prodotti alimentari fuori stagione o “esotici”. Per quanto mi riguarda una cosa non esclude l’altra e se preferisco comprare i prodotti di stagione (quando ne ho il tempo) direttamente (o quasi) dal produttore mi fa piacere anche mangiare l’uva in febbraio, magari assieme ai datteri freschi importati da Israele; ciò anche perchè mele e pere non è che mi diano molta soddisfazione. Quindi la si pianti di dipingersi di verde anche perchè ormai è un colore sfruttato e si accettino, insieme ai tanti difetti, questi pregi della globalizzazione, pensando che, come ampiamente sancito nel recente summit sul clima di Copenaghen delle emissioni di gas serra non frega nulla a nessuno.
Prendo spunto dallo strombazzato stop alle auto in Lombardia per fare un altro posto “anti-ambientalista” come quello delle buste di plastica. A parte che fare uno stop alle auto di domenica ha poco piu’ senso che cercare di andare a vendere ghiaccioli al polo sud, a me paiono assurdi, piu’ che altro, i limiti imposti alla circolazione in base all’aderenza dell’autovettura alla normativa euroqualchecosa. Io ho un auto del 2003, euro 3, non so, francamente quali e quanti siano i gas che la mia macchina emette nell’atmosfera e sinceramente non mi interessa nemmeno granche’. Io so solo che la mia auto deve fare il suo dovere almeno per altri 200.000 chilometri e poco importa se per farlo deve emettere nell’atmosfera qualche kg in piu’ di particolato, quello che so per certo e’ che il costo ambientale per smaltire una tonnellata e mezza di acciaio, plastica, liquidi inquinanti e gomma sia certamente superiore a quello di emettere un x per cento in piu’ di qualche cosa (con x piu’ o meno a piacere) come sono sicuro che il costo ambientale per produrre una nuova autovettura sia di qualche ordine di grandezza superiore a quello dovuto all’inquinamento atmosferico di un’auto costruita nel 2003. Poi, certo, sarebbe insensato produrre automezzi inquinanti come negli anni ’60 avendo la tecnologia per ridurne le emissioni ma obbligare i consumatori a sostituire un mezzo in perfetta efficenza per adeguarsi ad assurde normative al solo scopo di poter circolare, in un universo civile, sarebbe considerato delinquenziale, a maggior ragione se si pensa agli interessi in gioco e ai reali beneficiari degli incentivi e delle normative per costringere al rinnovo del parco circolante. Certo oggi nelle citta’ di medie e grandi dimensioni il traffico e’ diventato insostenibile, non solo dal punto di vista ecologico e una soluzione bisognerebbe trovarla, per come la vedo io la via e’ una sola: vietare il traffico a tutti i mezzi privati nelle citta’. Soluzione drastica? Solo una provocazione, ma Vietare il traffico in tutte le grandi citta’, sempre, consentirebbe il funzionamento dei mezzi pubblici di superficie (che andrebbero ovviamente potenziati) e integrando con piste ciclabili (e vietando ovviamente di usare la biciclettra al di fuori di queste) a parte rari casi di reale bisogno (che possono essere gestiti con un servizio pubblico di taxi) praticamente non vedo il motivo di consentire l’uso di autovetture private in nessuna citta’ medio-grande, altro che blocchi domenicali. Certo la mia e’ pura utopia, specialmente in italia dove pensare a un governo che favorisca il servizio di trasporto pubblico a scapito della vendita di autovetture e’ un sogno irrealizzabile. Io dal canto mio darei via, volentieri, un auto, ma piu’ per i costi (assurdi anche questi) di gestione che per un rigurgito di ambientalismo d’accatto, ma purtroppo, ancora una volta, proprio come per la storia del portarsi la sporta al supermercato, non mi sogno nemmeno lontanamente di sacrificare tre o piu’ ore al giorno della mia vita per un risparmio di qualche migliaio di euro l’anno o peggio ancora per evitare di riversare nell’atmosfera residui della combustione del mio obsoleto motore a scoppio.